Lettera aperta a chiunque voglia impegnarsi per fermare la guerra

L’interrogativo sul “che fare” agita i cuori e le menti di tante donne e uomini di buona volontà. Ovvero: cosa si può fare di più, ed è bene che si faccia, oltre la partecipazione attiva a tutte le iniziative contro la guerra e a tutte le manifestazioni pacifiste.

Orbene, una prima risposta a un simile quesito provo qui ad articolarla in cinque punti:

1 – Io credo che, per prima cosa, e per quanto possibile, occorrerebbe rafforzare una specifica convinzione presente in maniera episodica e parziale nel dibattito che si svolge prevalentemente, ma non solo, sui social. Mi riferisco all’idea che spontaneamente, per autodifesa psicologica, tentiamo un po’ tutti ad allontanare, e cioè che con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sia cominciato il cammino concreto e drammatico di una nuova guerra mondiale.

Attenzione: non il cammino verso una nuova guerra mondiale, ma direttamente il cammino di una nuova guerra mondiale, con attori già esplicitamente in campo e altri già implicitamente coinvolti. Credo che dovremmo convincercene, senza mettere la testa sotto la sabbia: la storia ha davvero imboccato questo tragico sentiero, anche se ancora restano confusi i suoi tratti salienti.

Anzi, al punto in cui siamo ha persino poco senso addentrarsi in una questione certamente importante sul piano dell’indagine storiografica, ma fuori luogo nell’immediatezza degli avvenimenti: e cioè la questione se questa nuova guerra mondiale cominci effettivamente con l’invasione russa oppure abbia avuto altri significativi fatti come inizio (e qui ci si potrebbe muovere nelle più svariate direzioni, andando dalle guerre americane in Medioriente al separatismo del Donbass, oppure dall’attacco alla Serbia al confronto muscolare tra le grandi potenze in Africa). Come è noto, lo stesso Pontefice ha parlato qualche anno fa di una “guerra mondiale a pezzi”; e già nel 1997 uscì un opuscolo molto secco degli zapatisti, redatto da Marcos, col titolo “La quarta guerra mondiale è cominciata”, che metteva tra i contendenti il movimento antiliberista di allora, visto ottimisticamente come “principale potenza mondiale”.

Sono tutte questioni interessanti, ma io le lascerei agli storici, puntando invece a mettere in evidenza la novità concreta prodotta dall’invasione. E parimenti lascerei agli storici anche la numerazione delle guerre mondiali. Marcos parlava di “quarta guerra mondiale”, assumendo la Guerra Fredda come terza guerra mondiale. Io sarei più del parere, ma non è importante, che quella che comincia vada indicata come “nuova guerra mondiale”; e se proprio occorre una numerazione indicherei “Terza guerra mondiale”, perché penso che dovremmo rendere le cose chiare e plasticamente evidenti.

2 – Dovremmo anche dire, spiegandolo con un linguaggio comprensibile, che il carattere fondamentale di questa guerra è imperiale e imperialista. Il fatto che sia cominciata come aggressione russa da un lato, e resistenza dell’Ucraina aggredita dall’altro, continua ad avere la sua importanza, ma non costituisce la verità di fondo di quello che adesso si sta effettivamente precisando come complessiva guerra mondiale imperiale e imperialista.

Utilizzo il termine imperiale – che significa annessione di territori in forme giuridiche sia dirette che indirette – con riferimento all’iniziativa russa, tesa esplicitamente a recuperare i milioni di chilometri quadrati già collegati, direttamente e indirettamente, all’impero zarista e poi all’Unione Sovietica, e perduti di colpo con la sconfitta della Guerra Fredda, con la proclamazione di indipendenza di molte repubbliche e con l’autonomia politica degli ex ‘paesi satelliti’. Parallelamente utilizzo il termine imperialista – che significa costruzione di pervasive condizioni di monopolio economico, politico e militare in determinate aree geografiche – con riferimento non solo agli Stati Uniti, ma anche all’interventismo globale delle altre potenze occidentali in svariati paesi del Terzo Mondo, a partire dall’Inghilterra e dalla Francia.

E aggiungo che mi riferisco anche alla Cina, la quale, nella forma di una penetrazione economica meno brutale degli Stati Uniti, ha costantemente esteso la sua presenza sullo scenario mondiale, e da ultimo anche in Europa con accordi di partenariato militare con la Serbia.

3 – Dovremmo soprattutto insistere sul fatto che questa guerra già si accompagna al vistoso incrinarsi del principale tabù che ha caratterizzato l’epoca della Guerra Fredda, e cioè il tabù dell’utilizzo delle armi nucleari.

Esso è stato messo in discussione: non solo nei talk show televisivi, sulla stampa e sui social, ma anche in esplicite dichiarazioni di esponenti di governo, sia russi e sia ucraini e occidentali. Ciascuno ha esordito dicendo che si tratta di scongiurare un tale terribile esito e che bisogna essere responsabili. Ma il punto è che se n’è cominciato a parlare con insistenza, e talvolta con raggelante leggerezza.

Per esempio, la vicepresidente del governo ucraino e importanti figure del governo polacco e del governo ceco hanno detto esplicitamente che comunque, prima o poi, si dovrà arrivare allo scontro finale con la Russia; e con la parola “finale” intendevano esattamente l’utilizzo delle armi nucleari.

Del resto, il dibattito sulla cosiddetta “No fly zone” ucraina (questione sulla quale finora Biden non si è piegato alle richieste di Zelensky, consapevole che si tratterebbe immediatamente della guerra diretta con la Russia, con tutte le conseguenze del caso) sta lì a dimostrare che i livelli di irresponsabilità sono altissimi, ben oltre il livello di guardia.

4 – Dovremmo anche essere particolarmente chiari su un punto davvero decisivo: non è alle viste, e non appare nel novero delle immediate possibilità, una autonoma marcia indietro dei Paesi direttamente e indirettamente belligeranti. Una cosa enorme come l’attuale guerra non si apre e non si chiude senza conseguenze.

Anche solo per arrivare a un cessate il fuoco generalizzato occorrerebbe o una situazione di evidente stallo militare o una situazione di risultati e vittorie più o meno chiare. Ma nel primo caso, è facile capire che una grande potenza nucleare non potrebbe mai riconoscere una situazione di stallo, se non di fronte a una similare potenza nucleare (tradotto: la tregua potrebbe semmai avvenire, forse, molto “forse”, solo dopo una esplicita entrata in guerra degli USA); nel secondo caso, se una parte arriverà a dirsi soddisfatta dei risultati conseguiti sul campo, va da sé che l’altra non potrà dire altrettanto, e il risultato sarà che la guerra non tenderà a fermarsi, bensì a intensificarsi.

Andrebbe peraltro bandita dalla discussione l’idea del nesso lineare e univoco tra decisioni e avvenimenti, cui indulgono spesso non solo gli apologeti del capitalismo, ma anche coloro che criticano gli assetti economici, sociali e politici, ovvero l’attuale sinistra di alternativa e i movimenti ecologisti e pacifisti. Più in generale, occorre dismettere senza reticenze l’ideologia ipertrofica della “onnipotenza dei soggetti” consegnataci dalla Modernità dispiegata del nostro tempo, per la quale le cose buone e le cose cattive  succedono comunque per “meditato disegno”. Di contro, va fatto valere il peso degli errori di valutazione e delle situazioni di confusione, e cioè il fatto che nelle vicende collettive, al pari delle vicende private, spesso si bruciano i ponti alle spalle anche senza capirlo e senza volerlo.

L’idea che controlliamo tranquillamente le cose e che ciò che concretamente facciamo appartiene al novero delle libere scelte, cosicché le stesse infamie e le tragedie le costruiamo con piena e volontaria cognizione, l’abbiamo mutuata dal delirio di onnipotenza della soggettività umana prodotta dalla Modernità, perdendo di vista la costitutiva fragilità e contraddittorietà degli esseri umani e delle azioni umane.

Va anche parallelamente chiarito che non ci sono neppure “ragioni oggettive”, per esempio, di tipo economico, che facciano da reale barriera alla guerra. Il capitalismo delle condizioni normali può facilmente mutarsi in capitalismo di economia di guerra; ed è ormai evidente, anche a coloro che fanno ogni sforzo per non vedere, la rottura dell’ordine neoliberista. Quell’ordine ingiusto, ma comunque con regole obbliganti per tutti, era entrato in gravissimo affanno già con la crisi economica del 2008 e col declino dell’unipolarismo americano in conseguenza dello sviluppo della Cina e della stessa ripresa della Russia, nonché per la presenza di altri attori globali sulla scena mondiale, dall’Unione Europea all’India; ma appare completamente archiviato nell’attuale, nuovo stadio della modernità prodotto dall’epidemia pandemica di Covid19, che continua drammaticamente a correre nel mondo, e da ultimo dalla guerra in Europa.

Sono entrate in crisi verticale sia le vorticose compravendite globali di merci, tecnologie e materie prime e sia le catene lunghe dei valori e della valorizzazione, col sostanziale venir meno di regole e frontiere. La nuova storia che abbiamo davanti non prevede più la libera circolazione di merci uomini e denari, e ciò renderà ancora più impellente e sanguinosa la contrapposizione bellica.

5 – Dovremmo convincerci, infine, che c’è un’unica realtà capace di creare inciampo all’andamento tragico delle cose; capace, a determinate condizioni, persino di inceppare il drammatico meccanismo che si è messo in moto. Mi riferisco alla iniziativa popolare in tutto il mondo contro la guerra, per il disarmo e per la messa a bando degli armamenti nucleari.

Io penso che oltre ad alimentare con tutte le nostre forze una tale iniziativa, dovremmo specificamente agitare in essa la parola d’ordine “pace, pane, terra”, che mette sinteticamente assieme l’iniziativa contro la guerra con la effettiva tutela della cittadinanza umana sul piano materiale e spirituale e con la salvaguardia ambientale del pianeta, così compromesso dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento.

Il che non significa, ovviamente, prospettare divisioni in ciò che va urgentemente unito e mobilitato senza logiche identitarie e senza mettere i puntini sugli “i”.

Si tratta piuttosto di promuovere, all’interno dello schieramento largo contro la guerra e per la pace, che costituisce la necessaria priorità per ogni ulteriore azione, anche una riflessione può puntuale sulle disuguaglianze di fondo e sulle logiche di degrado connesse agli attuali assetti sociali; ovvero sulle ingiustizie e sugli squilibri che continuamente alimentano, tra l’altro, proprio il velenoso brodo di coltura del nazionalismo e del militarismo.

Mi fermo qui. Anche perché occorrerebbe forse riflettere più distesamente sul carattere impegnativo dei cinque punti qui indicati, e cioè:

a) è cominciata una nuova guerra mondiale;

b) l’essenza di questa guerra è di essere imperiale e imperialista;

c) all’interno di questa guerra si è già incrinato il tabù dell’utilizzo delle armi nucleari;

d) non ci sono molte possibilità che nell’immediato i belligeranti, sia quelli espliciti e sia quelli impliciti, promuovano autonomamente un “cessate il fuoco” generalizzato;

e) solo una iniziativa internazionale di massa per la pace e per il disarmo, capace di ricomprendere, in tali parole d’ordine, anche le questioni dei diritti umani e della salvaguardia ambientale, può fare da barriera al precipitare degli avvenimenti.

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