Il popolo ucraino, come tutti i popoli, ha il diritto di resistere all’invasione e all’aggressione militare dell’esercito russo sul proprio territorio, ha il diritto di difendersi dai bombardamenti crescenti sulle proprie città. È però insopportabile l’ipocrisia e la manipolazione che si cela dietro l’eroicizzazione mediatica della tragedia che vivono in queste ore milioni di donne e di uomini in Ucraina.
Da tante parti si pronunciano parole di vicinanza e condivisione delle sofferenze delle popolazioni, ma non tutte suonano genuine. Non sono genuine le bocche che se ne rimanevano ermeticamente chiuse quando succedeva ad altri milioni di donne e uomini di tremare sotto i bombardamenti a cui abbiamo partecipato: in Iraq, in Afghanistan, in Libia, nella ex Jugoslavia. Là i sentimenti erano decisamente più freddi e più distanti…
D’altronde una cosa è sicura: ai governi europei e a quello americano non frega niente del popolo ucraino, non più di quanto importi a Putin. Se gliene fosse importato qualcosa, avrebbero disinnescato per tempo questa prevedibilissima, oltre che gravissima, crisi. E avrebbero bloccato, con le necessarie pressioni diplomatiche, la terribile escalation militare. Invece i governi occidentali hanno preferito usare l’Ucraina come pedina della propria politica di accerchiamento della potenza russa. E oggi, col precipitare degli eventi, inviano armi e migliaia di contractors nel conflitto: non certo per la prospettiva, quantomai irrealistica, che l’invasione sia sconfitta, ma col calcolo, neanche sottaciuto, che la Russia si impantani più tempo possibile, o addirittura che si scivoli in un tragico scenario siriano. E che, con il parallelo strangolamento dell’economia russa, si presenti magari l’occasione di chiudere il conto con l’era Putin.
È un calcolo cinico e spregiudicato, di cui nessuno può conoscere davvero le probabilità di successo. E soprattutto è un azzardo che si gioca interamente sulla pelle della popolazione ucraina e col rischio altissimo di un allargamento del conflitto in forme imprevedibili. Porta con sé, come ormai tutti stanno capendo, una pericolosissima e crescente tensione militare tra potenze nucleari…
Non è un caso, perciò, che gli ucraini stessi siano stati lasciati completamente SOLI al tavolo delle trattative. Non si è visto ancora lo straccio di un’azione diplomatica vera in queste due settimane e mezzo di guerra e di morte; così, come non c’era stata negli anni precedenti e neppure nei mesi che hanno scandito il precipitare della crisi. Fermare la guerra è invece più che mai necessario, anche se naturalmente più dura l’invasione, più sarà alto il prezzo da pagare ai cambiamenti dei rapporti militari sul terreno.
All’Occidente piace raccontare il martirio della popolazione ucraina, che soffrirebbe così tanto per aderire “ai nostri valori”. Di fatto, europei e americani si adoperano irresponsabilmente per alimentare il conflitto e non sono disposti a nessuna concessione formale, nessun passo indietro rispetto alle loro ambizioni egemoniche e alle loro mire strategiche. Si muovono in maniera straordinariamente ambigua: l’Ucraina nella Nato oggi no, domani nemmeno, ma dopodomani chi può dirlo… “Lo dica magari Zelensky che l’Ucraina sceglie una prospettiva di neutralità, se proprio costretto”…
Di fatto, il blocco atlantico, puntualmente riallineato dagli americani attraverso la crisi e la guerra, sa che di fronte all’azzardo russo si sta costruendo un paradigma che diverrà riferimento obbligato anche negli altri punti di frattura dell’ordine imperiale, in contesti di importanza strategica persino maggiore. E nel quadro della feroce competizione mondiale, l’Unione Europea dimostra di nuovo di essere un nano politico, al guinzaglio degli interessi strategici americani e inglesi fino all’autolesionismo, incapace di difendere non dico la retorica sempre più finta dei diritti umani universali, ma proprio la sicurezza e la vita stessa degli europei. Altrimenti avrebbe fatto di tutto per impedire l’esplodere di un’altra guerra nel continente, ponendo un argine all’avventurismo della Nato e alla politica dell’allargamento ad est. Non ci voleva una laurea in scienze politiche per prevedere che piazzare missili ai confini di un altro competitor globale avrebbe portato grossi guai…
Ora, grazie alla mediazione cinese e al coinvolgimento di Francia e Germania, potremmo forse assistere a un cambio di passo nelle trattative, se gli Usa lo permetteranno e la Russia non sarà troppo vorace e si accontenterà, come dice, di garantire i suoi interessi strategici. Qualunque scenario, però, anche quello meno tragico nell’immediato, ci consegnerà una ulteriore accelerazione del militarismo nel presente e nel prossimo futuro. In un mondo sempre più sconvolto dalle diseguaglianze e dal disastro climatico, con milioni di profughi e la crisi energetica ed economica accelerate dalla pandemia, la sfida per l’egemonia diverrà sensibilmente più feroce.
Siamo a un effettivo cambio di passo di passo della storia: nel senso che una grande guerra internazionale, e non soltanto il feroce stillicidio di guerre regionali che abbiamo visto in questi ultimi vent’anni, torna ad essere una minaccia incombente. E per di più il prezzo del militarismo e della competizione globale si scaricherà in maniera sempre più violenta sulle condizioni di vita delle classi subalterne. Non nei prossimi anni, ma già nei prossimi mesi.
L’unica speranza è che settori sempre più larghi della popolazione mondiale decidano che l’alternativa non è, non può essere, tra una (impossibile) pace egemonica dell’impero e la guerra multipolare, e che invece bisogna mobilitarsi per una reale prospettiva di pace e solidarietà. Del resto, l’avanzamento dei saperi e delle potenzialità umane può realmente consentire, oggi come oggi, un esito alternativo a quello che ci vorrebbe obbligare a scegliere tra suicidio ambientale, ingiustizia sociale e apocalisse militare. Un altro mondo è davvero possibile. Anzi, è ormai indispensabile.
Dobbiamo allora scrollarci di dosso l’insensato e inutile ruolo di tifoserie social del Risiko globale cui ci riduce la propaganda di guerra. I contrapposti “realismi” e il ricatto morale che non lascia alternativa al prendere parte alla logica della guerra sono, in realtà, la fotografia bugiarda di una rassegnata impotenza. Di fatto, è sempre possibile “disertare” dalle logiche di guerra; e ora siamo chiamati tutte e tutti a una iniziativa attiva per la pace e la solidarietà tra i popoli.
Anche la larghissima mobilitazione sociale solidale col popolo ucraino, per quanto alimentata dall’enfasi interessata dei mass media, ci racconta della voglia insopprimibile di tante persone di non sentirsi inermi di fronte alla distruzione e alla tragedia. Ci racconta di un sentimento che può farsi politica se riesce a rendersi autonomo dalla lettura preconfezionata dell’informazione “di sistema”.
Serve, insomma, una grande campagna internazionale per la smilitarizzazione del pianeta; indirizzata, per quanto ci riguarda, alla smilitarizzazione del nostro paese dalla più micidiale macchina bellica del mondo, quella Nato che brucia ogni anno mille miliardi in armamenti e fa dei nostri territori portaerei della guerra e bersaglio militare. In attesa di una generazione che assuma questo compito come suo visibile destino, tutte e tutti abbiamo il dovere di svolgere la piccolissima parte che ci spetta