Come è noto Abdullah Öcalan, il leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), è detenuto sull’isola carceraria di İmralı dal 1999. Le condizioni della carcerazione sono durissime e le visite degli avvocati e dei familiari avvengono, quando avvengono, dopo mesi e anni di pesantissima solitudine.
Per dare un’idea di cosa si tratta, basti pensare che dopo l’ultimo incontro del settembre 2016, le autorità turche hanno permesso ad Ocalan di vedere la sua famiglia solo 4 volte: 12 gennaio 2019, 5 giugno 2019, 2 agosto 2019 e 3 marzo 2020.
D’altronde, Öcalan era stato tenuto in isolamento assoluto dal suo rapimento in Kenia del 1999 al 17 novembre 2009, quando altri cinque detenuti furono trasferiti sull’isola, e però tenuti in altre celle. Poi, nessuna visita degli avvocati tra il 27 luglio 2011 e il 2 maggio 2019. Ed è stato solo dopo il più grande sciopero della fame di massa della storia delle carceri turche, costato 9 morti, che si sono avuti quattro incontri con gli avvocati tra il 2 maggio e il 7 agosto 2019.
Dopo l’agosto 2019, il divieto di incontro è ripreso nei fatti, con le motivazioni più disparate. Recentemente uno dei suoi avvocati, Newroz Uysal, ha informato che a Öcalan sono state nuovamente sospese le visite dei legali e dei familiari come punizione disciplinare perché aveva osato “camminare su e giù nel cortile” nella sua ora d’aria.
Inutile dire che per questo particolare detenuto è diventato aleatorio anche il diritto alla corrispondenza: in precedenza limitato e censurato, è stato completamento abolito dal 20 luglio 2016. Quanto al diritto di telefonata, che la legge turca stabilisce in una volta a settimana, Öcalan ha potuto goderne in un’unica occasione negli ultimi 20 anni: il 27 aprile 2020.
In poche parole, siamo in presenza di una persecuzione che non ha eguali nel mondo. Non a caso, la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha messo nero su bianco che v’è stata, nel suo caso, una continua violazione dell’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Da anni, in tutto il mondo si chiede la liberazione di Abdullah Öcalan e il ripristino delle condizioni di democrazia in Turchia e in tutto il vicino Oriente. Non lo chiedono solo i curdi, il più oppresso, oggi come oggi, tra i popoli del mondo. Sono quasi 50 milioni di persone che rivendicano semplicemente il diritto di essere riconosciuti come popolo. In Turchia e in Iran la lingua curda è addirittura proibita; e altrove – in Iraq e in Siria – ai curdi non vengono pienamente riconosciuti i diritti politici.
Öcalan è considerato dalla maggioranza di questo popolo, e non solo dai curdi che vivono in Turchia, il loro presidente, il loro punto di riferimento. Né più né meno di ciò che rappresentava Nelson Mandela per i neri in Sudafrica. Tenerlo in prigione significa tenere in prigione i curdi; liberarlo significa dare una chance di riscatto non solo a un popolo che ha già troppo sofferto, ma a tutta la regione. Solo in Turchia dal 1984 ad oggi, quando il governo decise di risolvere con l’esercito la “questione curda”, ci sono stati 50.000 morti. E migliaia e migliaia di morti ci sono stati in Iran, in Siria, in Iraq.
Per dare un’altra cifra, l’eroica resistenza dei curdi a Kobane contro i tagliagole dell’Isis – bene armati da diverse potenze nell’area proprio col proposito di colpire i curdi – è costata a quell’esercito popolare di donne e uomini circa 11.000 morti…
Ai curdi noi occidentali abbiamo applaudito quando hanno sconfitto lo Stato islamico. Poi ce ne siamo dimenticati. Ma la pace nel vicino Oriente è questione che riguarda direttamente anche noi. E la proposta di Öcalan del Confederalismo democratico, che è già diventata una realtà nella Siria del nord, nel territorio del Rojava, rappresenta una concreta possibilità di pace.
Oggi i curdi non chiedono di cambiare i confini degli Stati. Chiedono semplicemente spazi di autonomia e di autogoverno democratico in una logica di collaborazione tra le molte etnie e le molte identità politiche e religiose di quella martoriata e decisiva area del mondo. Liberare Öcalan significa, perciò, non solo compiere un sacrosanto atto di umanità e giustizia, ma anche rafforzare il processo di pace e rafforzare la democrazia.
Qualcosa si sta muovendo. Qualche mese fa il Parlamento regionale della Catalogna ha approvato a grande maggioranza una risoluzione che riconosce formalmente l’autogoverno dell’AANES (il Rojava). “Il Parlamento della Catalogna valuta il potenziale del Confederalismo democratico come soluzione pacifica, inclusiva, democratica e di coesistenza in Medio Oriente basata su municipalismo, femminismo ed ecologismo sociale”, si legge, infatti, nella risoluzione di Barcellona.
Anche in Italia, la causa curda, incentrata sulla liberazione di Öcalan, avanza. Grandi città come Palermo e Napoli e diversi piccoli comuni hanno dato a Öcalan la cittadinanza onoraria.
Nella delibera della città di Napoli del 28 gennaio 2016 è scritto con nettezza che Abdullah Öcalan “rappresenta la guida politica e spirituale del Popolo Curdo in quanto si è sempre battuto contro la repressione del suo popolo e per l’affermazione dei diritti umani e democratici, gravemente disattesi – nel corso soprattutto di questi ultimi anni – da politiche oppressive, brutali ed autoritarie”. E si aggiunge, con la stessa chiarezza, che la lotta del popolo curdo “è diventata uno degli emblemi mondiali della resistenza alla sopraffazione autoritaria e sistematica verso donne, bambini ed uomini”; di conseguenza, “Napoli, Città multietnica, dell’accoglienza e della Pace, è al fianco della battaglia di libertà del Popolo Curdo, così come persegue i valori dell’autodecisione dei Popoli, contro il soffocamento delle minoranze etniche, religiose, linguistiche o di qualsiasi altra natura”.
Ovviamente i comuni non determinano la politica estera di uno Stato, e il governo italiano, così come gli altri governi d’Europa, può continuare a far finta di niente. Ancora oggi – dopo Kobane, dopo che la questione curda è stata squadernata come non mai agli occhi dell’opinione pubblica mondiale – l’Unione Europea tace, subendo le pressioni politiche ed economiche della Turchia.
Com’è dunque possibile invertire questa situazione e spingere i governi europei a chiedere con forza alla Turchia la liberazione di Öcalan e la fine delle persecuzioni contro i curdi?
Noi confidiamo nella forza dell’opinione pubblica. Se, ad esempio si moltiplicassero le cittadinanze onorarie a Öcalan da parte di giunte e consigli comunali, se attorno alla liberazione del leader curdo si sviluppasse un moto generale di prese di posizione, allora forse è possibile che l’ordine del giorno sottoscritto da circa 25 parlamentari, e che verrà prossimamente discusso alla Camera e al Senato della Repubblica, abbia un esito positivo, simile a quello che è avvenuto in Catalogna.
Per questo, come redazione di LEF facciamo appello a tutti i nostri lettori e le nostre lettrici perché si attivino con urgenza, chiedendo ai consiglieri comunali, ai sindaci e agli assessori che conoscono, di fare un gesto piccolo, ma pieno di significato: dare ovunque la cittadinanza onoraria ad Abdullah Öcalan.