Nonostante l’idea originaria di una Europa unita in forma federativa si supponga scaturita dal Manifesto di Ventotene, originariamente redatto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941, quegli ideali democratici e perfino socialisteggianti rimasero solo suggerimenti inascoltati ed inapplicati.
Di fatto, i veri processi di unificazione si consolidarono a livello commerciale. E la iniziale supremazia dell’economia sul diritto, di chiara origine neoliberale, ha poi progressivamente portato all’emergere dell’ordoliberalismo autoritario in Germania, che – a sua volta – ha lasciato un segno indelebile sulla fondazione e costituzione dell’Unione Europea.
Si è trattato di una particolare corrente neoliberista, che poggiava sulle elaborazioni della Scuola di Friburgo. Prese il nome illuminante di “ordoliberalismo”, come suggerito nel 1950 da Moeller, fondatore della rivista accademica Ordo.
L’Ordoliberismo spiegato da Foucault
L’ordoliberalismo si costituiva, così, nel dopoguerra come una variante del pensiero neoliberale. Il suo presupposto era che il libero mercato ed il laissez faire da soli non fossero in grado di garantire né il mantenimento della concorrenza, né l’equità sociale e le pari opportunità per gli individui.
Lo Stato doveva perciò fornire un quadro giuridico, un ordine di regole attraverso cui l’economia di mercato potesse funzionare. In pratica, per evitare rivolte e ribellioni dovute all’indigenza insostenibile, occorreva tutelare la proprietà privata e la libera iniziativa privata, stabilizzare la moneta e assicurare un livello minimo e universale di protezione sociale.
Michel Foucault spiega così il cambio di paradigma rispetto al liberalismo classico: gli ideologi dell’ordoliberalismo cominciarono ad esigere “dall’economia di mercato molto di più di quanto le era stato richiesto nel XVIII secolo, allorché le si chiedeva di dire allo stato che da un certo limite in poi, nel caso di un determinato problema e oltre i confini di un dato ambito, esso non sarebbe più potuto intervenire”.
Ma per gli ordoliberali, ciò non era ancora abbastanza: “dal momento che ormai è accertato che lo stato è portatore di un’intrinseca lacunosità, mentre nulla prova che l’economia di mercato abbia simili difetti, essi chiedevano all’economia di mercato di fungere, di per sé, non tanto da principio di limitazione dello stato, bensì da principio di regolazione interna dello stato, in tutta l’estensione della sua esistenza e della sua azione”.
Foucault arriva quindi al nocciolo della questione: “gli ordoliberali sostengono che bisogna porre la libertà di mercato come principio organizzatore e regolatore dello Stato, dall’inizio della sua esistenza sino all’ultimo dei suoi interventi. Detto altrimenti: uno Stato sotto la sorveglianza del mercato, anziché un mercato sotto la sorveglianza dello Stato”.
L’ordoliberalismo e l’Unione Europea
Gli ordoliberali, in sostanza, hanno agito per affermare il primato della concorrenza commerciale come visione della società e della politica nella società. L’economia sociale di mercato è stata definita dall’economista neoliberale Müller-Armack come una politica per la società; e la maniera in cui lo Stato organizza l’economia, un ordine, l’ordine di mercato. Perché – a suo parere – non potrebbe esserci nessun mercato senza ordine.
Nella Germania del dopoguerra, la socialdemocrazia denunciò e contrastò tale concetto di “economia sociale di mercato”. Ma dopo qualche anno si sottometteva arrendevolmente ad esso, facendone addirittura il proprio dogma ufficiale.
Impostosi in Germania, l’ordoliberismo ha poi dilagato in Europa, esprimendosi strategicamente nel Trattato di Roma e poi in tutti i successivi trattati europei, veri e propri documenti para-costituzionali.
Un’intensa giurisprudenza normativa è venuta disegnando lo Stato, i rapporti sovrastatali e il diritto sovranazionale, in maniera che vigilassero e proteggessero il mercato. L’ordine si costituiva come il compito fondamentale della politica, esattamente alla maniera di come lo enunciavano gli ordoliberali.
La costituzionalizzazione dell’ordinamento liberale procedeva così come l’intendeva l’ordoliberalismo, che diveniva il primo garante della costruzione europea. Non a caso, già l’articolo 92 del Trattato di Roma definiva l’incompatibilità degli aiuti di Stato con il mercato comune, salvo eccezioni…
E da allora c’è stato un lento calvario di distruzione, incentrato sulla liberalizzazione dei servizi pubblici, oggi definiti come “servizi di interesse generale” e quindi mercificati. In questo modo, energia, trasporti, telecomunicazioni, poste, radiodiffusione, servizi creditizi, sanità, scuola, e anche previdenza sociale – tutti i servizi sociali dello Stato – sono diventati oggetti di mercato.
Alla stessa maniera ha funzionato la stabilità dei prezzi come principio regolatore del sistema monetario. L’articolo 29 del Trattato di Lisbona, nel definire le competenze dell’Unione, pone la stabilità dei prezzi come obiettivo del sistema bancario centrale, privando gli Stati o l’Unione dell’uso della politica monetaria o limitandola severamente.
Il governo delle élite, in altre parole, ha imposto il potere della legge affinché fossero i mercati finanziari a dettare le regole del gioco. Lo stato forte e la stabilità dei mercati sono due facce della stessa medaglia. E le regole economiche dell’Unione Europea sono all’insegna dell’ordoliberalismo.
Oggi come oggi, l’Unione Europea è diventata l’emblema vivente del successo dell’autoritarismo statale ma apolide, il vero e proprio prodigio neoliberista della legge del mercato.
L’aggravamento delle contraddizioni
Secondo i dettami dell’ordoliberalismo e dell’economia sociale di mercato, è quest’ultimo che deve regolare lo Stato, sottraendo la politica economica al controllo dei rappresentanti democraticamente eletti e, di conseguenza, alla società stessa. Un classico esempio osservato in diversi paesi è quello delle agende economiche che diventano dirimenti rispetto a quelle sociali.
Un altro esempio è costituito dall’adozione di limiti alla spesa pubblica, sotto la minaccia del declassamento della fiducia e dell’affidabilità finanziaria da parte delle agenzie di rating e degli organi finanziari internazionali (FMI, BM).
Tuttavia, la questione è ancora più ampia, poiché il neoliberismo richiede non solo una regolamentazione economica, ma anche sociale e politica.
La politica fiscale in questo senso è matematica: se si intende ridurre il disavanzo fiscale ed associarlo ad una riduzione del carico tributario, saranno necessari riduzioni di bilancio ancora più severe nelle politiche pubbliche e negli investimenti.
Sono esattamente le misure che caratterizzano i programmi delle forze neoliberali: tagli ai finanziamenti per servizi pubblici come salute, istruzione, ricerca scientifica, mobilità, tecnologia e ambiente. E se non basta, c’è la consolidata negazione degli adeguamenti delle pensioni all’aumento del costo della vita e all’aumento dell’età necessaria per averne diritto.
In questo contesto, il modello ideale della società e del suo governo è l’impresa. Le ideologie più semplicistiche – le dottrine dell’imprenditorialità, del successo individuale, della motivazione alla flessibilità – sono tutte nate da questo modello di business, che ha sostituito l’antico Stato Sociale. Lo stato divieneipiù autoritario e meno sociale, e complessivamente meno democratico.
Ovviamente queste politiche provocano sconvolgimenti sociali, suscitano resistenze e lotte e postulano la conseguente necessità di una repressione aggressiva. Ed è qui che entra in gioco l’autoritarismo, essenziale per il controllo di chi è esacerbato per le misure che sottraggono diritti e peggiorano la vita. Diviene, anzi, “normale” inquadrare i gruppi antagonisti, i collettivi di resistenza, le ONG e i movimenti sociali sotto le leggi antiterrorismo per perseguitarli.
Lo scenario dei paesi in cui questa combinazione di politiche neoliberali radicali vengono adottate, è perciò segnato da rivolte, repressione, vittime in manifestazioni di piazza, diffusione della paura, espansione della povertà e delle disuguaglianze, riduzione dei diritti. E, in questo senso, il neoliberismo si configura come il fascismo moderno che, creando altresì una diffusa esclusione sociale, alimenta la macchina dell’odio e del neodarwinismo sociale.
Le macerie del neoliberalismo
È illuminante il recente contributo della filosofa statunitense Wendy Brown. Il suo libro “Macerie del neoliberalismo” (2019) mostra che diversi movimenti politici di estrema destra, con diverse sfumature di grigio, stanno attualmente crescendo nel mondo. Essi sono figli legittimi del neoliberismo che si fondava originariamente sulle tesi di Hayek.
L’analisi della Brown chiarisce che il progetto di questa corrente di pensiero consisteva essenzialmente nell’allargare l’ambito dei rapporti commerciali anche alla vita personale, e però con un obiettivo ancor più ambizioso: la pretesa morale e politica di proteggere le gerarchie tradizionali negando l’idea stessa di società e limitando radicalmente il potere politico negli stati-nazione. Questa tesi non è altro che il concetto ribadito plasticamente da Margaret Thatcher, in assonanza con Hayek: “la società non esiste ed esistono solo gli individui”.
A partire da una lettura rigorosa dei testi di Hayek, Brown mette in evidenza come quell’autore consideri il mercato alla stregua di un ordine morale che, promuovendo la massima libertà nelle innovazioni mercantili, favorisce il continuo sviluppo della civiltà. Questo ordine, secondo l’economista austriaco, deve evolversi spontaneamente, per selezione positiva delle norme trasmesse dalla tradizione.
La sociologa statunitense ammonisce che proprio l’adozione di queste politiche iperliberiste sta facendo emergere, in questo XXI secolo e in paesi che si considerano ancora pluralisti, liberali e democratici, dei movimenti sociali e politici – si vogliano essi denominare come autoritaristi, neofascisti, populisti, illiberali o plutocratici – che sembrano ricordare, seppur con differenze, i momenti peggiori del secolo scorso, soprattutto in Italia e in Germania, negli anni ’20 e ’30.
Questi movimenti – sottolinea Brown – combinano in modo peculiare moralismo, autoritarismo, nazionalismo e desiderio di un uomo forte al comando; oltre a razzismo, omofobia e misoginia. In modo apparentemente contraddittorio, combinano l’antielitarismo con il favoritismo nei confronti dei più ricchi; la difesa del rigore morale e della civiltà con una condotta amorale e brutale; la fervente religiosità con comportamenti spietati verso le vittime del loro odio.
E va anche detto che pur mantenendo un certo disprezzo per la scienza e l’intellighenzia, questa nuova destra autoritaria è spesso sedotta dai progressi tecnologici e da filosofie politiche stravaganti. Essa, infine, disprezza la politica e i politici tradizionali, ma allo stesso tempo mostra un feroce desiderio di potere, oltre che una sfrenata ambizione politica.
Il quadro sociale neoliberista
Le politiche neoliberali inaugurate alla fine degli anni ’70 (prima) e le trasformazioni verificatesi nel processo di globalizzazione (poi) hanno contribuito a ridurre non solo i tassi, ma anche la qualità della crescita economica nei paesi capitalisti sviluppati. I sindacati si sono indeboliti e i posti di lavoro stabili sono stati trasferiti all’estero.
Così, i salari reali sono rimasti stagnanti; i buoni posti di lavoro sono diventati più scarsi; le scuole pubbliche hanno ricevuto poche risorse (alcune sono state privatizzate); la manutenzione delle infrastrutture delle città e sul territorio è diminuita; i sistemi pensionistici e assistenziali sono stati ridotti. I paesi più prosperi, inoltre, hanno cominciato a ricevere una notevole immigrazione di manodopera a basso costo.
Così, una profonda insoddisfazione sociale ha iniziato ad assillare gli operai, bianchi e cristiani, in questi paesi.
Tale processo ha prodotto una forte polarizzazione nella sfera del lavoro, della cultura e delle credenze religiose. Le occupazioni a basso salario e poco impegnative e le occupazioni ben pagate, che richiedono più istruzione e più formazione, sono cresciute, ma non di molto; i contratti per funzioni impiegatizie con buoni stipendi sono, invece, diventati scarsi.
Inoltre, gli immigrati hanno introdotto altri costumi e altre credenze e questo ha prodotto un distanziamento sociale crescente tra i vecchi abitanti e quelli arrivati di recente nelle zone più povere. Un malessere latente, ma caratterizzato da conflitti particolari, si è diffuso tra gli ex residenti di queste zone e chi vi è arrivato come straniero, o è di altra etnia.
In breve, l’insoddisfazione è andata crescendo tra coloro che erano stati educati all’ideologia del progresso e alla logica consumistica del benessere crescente. La realtà si è rivelata come persistente stagnazione, e soprattutto come deterioramento delle condizioni di vita e mancanza di servizi pubblici, soprattutto nelle aree più povere.
La disuguaglianza di reddito è aumentata notevolmente, e il razzismo e la xenofobia sono spontaneamente cresciuti. Contemporaneamente al trasferimento di posti di lavoro all’estero e al dispiegamento di tecnologie che producono disoccupazione tecnologica, si è generato un odio per la globalizzazione, il tutto in nome della diffusione degli standard occidentali nel resto del mondo.
In questo quadro, politici populisti scaltri, capaci di padroneggiare il marketing e la propaganda, sono stati in grado di catturare elettoralmente le varie frustrazioni accumulate. In alcuni Paesi sono riusciti ad assurgere al potere, continuando a praticare peraltro quasi le stesse politiche del periodo precedente – solo addobbate con un aspetto populista e anti-sistema.
Per raggiungere i loro obiettivi, i plutocrati sono apparsi sulla scena politica come critici della finanziarizzazione, del furto di posti di lavoro da parte di aziende straniere, dell’invasione di stranieri nel mercato interno, ecc. Per indorare un boccone amaro che peggiora ulteriormente le condizioni di vita dei salariati e dei precari, hanno iniziato a presentarsi come religiosi tradizionalisti, nazionalisti e militaristi, il cui compito è quello di salvare il Paese dalla rovina portata dai politici dei partiti tradizionali.
Di fatto, forze politiche profondamente antidemocratiche sono cresciute in questo ambiente e hanno fatto riapparire, seppur travestiti da democratici, i vecchi demoni dell’autoritarismo e persino del fascismo.
Il cupo futuro del neoliberismo
Il neoliberismo è votato a sostenere continuamente una speranza di ripresa e di prosperità che non è in grado di realizzare. Rimane così in una condizione di ipocrisia, che, una volta scoperta, si trasforma in cinismo: il sistema promette sempre di più – ancora una volta, per il prossimo futuro – quello che non ha potuto realizzare nel recente passato.
Viene soprattutto riproposta la finzione del capitale umano da valorizzare, dell’individuo che si pensa come imprenditore di se stesso. Ma in questo modo, il neoliberismo rafforza inesorabilmente il nichilismo, cioè la categoria che Nietzsche ha indicato come caratteristica fondamentale della società moderna.
È un nichilismo che alimenta nella società cervellotiche convinzioni complottiste, basate su inverosimili notizie false inculcate dagli invasivi e onnipresenti social network; ma è soprattutto un nichilismo che trasforma la morale tradizionalista in arma politica violenta, che attacca i valori costituzionali di convivenza, solidarietà, uguaglianza sessuale, di genere e fra etnie diverse, che sabota l’istruzione pubblica e le relazioni sociali della sfera pubblica civile e non violenta. Allo stesso tempo, rivendica libertà e moralità, e ridicolizza e rifiuta – bollandole come “politicamente corrette” – le istanze di giustizia sociale espresse dalle forze politiche di sinistra.
Così, negli ultimi quarant’anni, lo sviluppo e la diffusione dell’ideologia neoliberista nel mondo, estendendo il paradigma della competizione economica alle altre sfere della società, ha minato l’incompiuta democrazia praticata nei paesi sviluppati e, allo stesso tempo, ha screditato la fiducia in alcuni valori comunitari su cui la stessa si supponeva che si dovesse basare.
In ultima analisi, il neoliberismo ha intensificato il nichilismo, e questo si è manifestato come una violazione della fede nella verità, nei fatti e nei principi che fondavano la società. In altre parole, lo svuotamento dei valori, la rottura della fiducia nelle condizioni necessarie per il funzionamento del sistema economico stesso, è stato il terreno su cui hanno attecchito le tendenze fasciste più retrograde.
Di fatto, non sembra difficile capire che è proprio la logica del denaro che genera ancor più denaro ad essere in gran parte responsabile della svalutazione di tutti i valori che non siano associati alla logica della crescita infinita del capitale. E tutto ciò conferma l’esistenza di un nesso evidente tra liberalismo e fascismo.
Ma neppure l’Ordoliberismo è onnipotente.
Lo sconquasso economico causato dalla recente pandemia di coronavirus ha messo in crisi vari principi e regole liberiste sia nell’Unione Europea e negli Stati sviluppati del G7 e sia nei paesi capitalistici non di prima fila.
L’Unione Europea – alla stregua di altri Paesi ricchi e muniti di banche centrali in grado di emettere moneta – ha reagito adottando politiche di investimenti e immissione di liquidità, per evitare il collasso dell’economia e delle finanze degli Stati membri. Ma il cambio di rotta rispetto alle precedenti politiche di austerità sembra ancora timido e non si configura come un necessario mutamento di paradigma rispetto ai fondamenti ordoliberali sopra menzionati.
È previsibile che gli anni successivi all’ondata pandemica siano segnati dalla crisi dei precari equilibri economici e dei debiti sovrani, con le conseguenti problematiche sociali e l’ascesa di un forte conflitto tra le arroganti pretese autoritarie del capitale e le istanze di lotta delle classi subalterne. E questa volta correlate alle conseguenze ecologiche sempre più drammatiche del cambiamento climatico.
In altre parole, un ulteriore nuovo liberismo ancor più invasivo, autoritario e fascisteggiante si staglia all’orizzonte; e ciò suggerisce la necessità di ricomporre un fronte libertario articolato a livello internazionale, in grado di contrastare ancora una volta e con maggior forza l’arroganza sempre più crudele del capitale.
In gioco è la salvezza della specie umana e dell’intero pianeta.