La scuola, l’Invalsi e la didattica a distanza

Oggi l’INVALSI è alla ribalta, non solo nel mondo della scuola, per la questione COVID, DaD sì – DaD no. E, secondo me, si sta facendo una gran confusione.

Spero di non apparire supponente se credo che debba essere fatta un po’di chiarezza su cos’è e cosa fa l’INVALSI.

Non ho mai condiviso apriori le critiche e le ostilità verso le indagini sull’efficacia del nostro sistema scolastico, anzi le ritengo indispensabili. Ma siccome sono stato professore dal 1977 e preside dal 1992 fino al 2020, mi sono convinto che il nostro sistema INVALSI ha numerose carenze, dovute a due grosse pecche “genetiche”.

Il punto è che l’autonomia scolastica aveva, tra i suoi portati naturali, due conseguenze:

  1. Che lo strumento di valutazione fosse indipendente dal Ministero della Pubblica istruzione (la terzietà dell’organo di controllo è un assioma per ogni verifica oggettiva) e che la sua organizzazione interna fosse congruente all’assetto della scuola, a lui esterno.
  2. Che lo strumento di valutazione fosse strutturato per garantire un allineamento delle scuole su livelli di qualità e di prestazione omogenei a livello nazionale e che il relativo accertamento di malfunzionamenti o particolari esigenze territoriali venissero sovvenute e compensate dallo Stato sia sul piano delle risorse che dell’approccio pedagogico.

In realtà, nessuna di queste due condizioni si è realizzata in 20 anni di sistema-INVALSI.

TERZIETA’ FITTIZIA e CONNOTAZIONE POLITICA

L’INVALSI, come è giusto che sia, è un ENTE formalmente esterno rispetto al Ministero, con sole due condizioni: a) il Presidente è di nomina fiduciaria del Ministro; b) deve rispettare gli indirizzi del Ministero (obiettivi pedagogici ed organizzativi da indagare) con un’organizzazione ed una metodologia congruente al sistema scolastico reale, non ipotetico o idealmente immaginato.

L’INVALSI, sin dal vertice, si è così strutturato come un organismo funzionale alla politica: non solo perché il suo Presidente è nominato dal e risponde solo al Ministro, ma anche perché, tranne che per il momento delle prove, non ha mai un’interlocuzione diretta con le scuole. L’interfaccia con il problema EDUCAZIONE avviene esclusivamente per mediazione dell’apparato ministeriale che, ricordiamolo, è strutturato in modo piramidale, con alla base un Direttore Regionale di nomina diretta del Ministro e sensibile allo spoil system.

Anche le iniziative di formazione per Dirigenti Scolastici e docenti sono circoscritte alla illustrazione ed all’uso di modelli di valutazione del sistema e della struttura delle prove dell’esame di Stato. L’INVALSI non si è mai interessato né di pedagogia né di politiche educative e, coerentemente, sul suo sito web al link “Chi siamo” si legge: “L’INVALSI è soggetto alla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione che individua le priorità strategiche delle quali l’Istituto tiene conto per programmare la propria attività. La valutazione delle priorità tecnico-scientifiche è riservata all’Istituto.”

Da un punto di vista pedagogico e sociologico, esso è neutro. È come una macchina che dice alla politica: “ti faccio quello che chiedi, ti porto dove vuoi”.

PRIORITA’ TECNICO SCIENTIFICHE: DI CHE TIPO?

Qui si ingenera una questione seria. Tutto l’approccio del Ministero alla scuola si poggia su una contraddizione interna feroce.

Per dirla in breve, da un lato, il Ministero elabora Indicazioni Nazionali e documenti fortemente pregnanti sul piano pedagogico: belli, fondati su una seria proposizione di assunti radicati nelle nostre Scienze dell’Educazione ed in cui è possibile leggere chiaramente le eredità ancora vive e funzionali del passato, in primis la grande lezione dell’attivismo, specie nei gradi dell’Infanzia e della Primaria, sebbene poi goffamente riproposte sotto forma di “metodo laboratoriale” e “competenze” nei gradi più alti.

Nel ciclo secondario è fortemente presente anche l’impianto pedagogico cognitivista (con tutte le sue luci ed ombre da suggestioni produttivistiche e neopositiviste di stampo anglosassone, da cui anche il patetico ricorso a definizioni e locuzioni in inglese tanto invasive quanto afone di contenuti) con i suoi concetti di individualizzazione, di ricerca di strategie articolate e varie di recupero. Ma soprattutto è di assoluto pregio, nelle Indicazioni Nazionali, l’utilizzo sapiente della marea costruttivista, con attenzioni varie e ricorrenti a “cani sciolti” come Vygotskij, Bruner, Gadamer e perfino Morin.

Infine, nonostante il personalismo cattolico (obiettivi personalizzati, Piano di Studi Personalizzato) che si iniettò nel periodo della ministra Gelmini per smantellare l’approccio democratico dell’individualizzazione, permane nelle Indicazioni Nazionali la logica degli obiettivi comuni per tutti, da conseguire con percorsi individualizzati fondati sul Mastery Learning.

Insomma, nelle Indicazioni Nazionali, nel Regolamento della Valutazione della Buona Scuola, nella normativa sui BES: ovunque si legge in filigrana la storia e il presente della Pedagogia, mentre – sebbene in misura minore – l’attenzione continua al disagio sociale testimonia anche di saggezza sociologica.  E questo è molto bello.

C’è, tuttavia, un grandissimo “però”. Ogni documento, ogni legge, ogni decreto, si fonda tutto nelle ultime righe: “fatta salva l’invarianza della spesa”. Cioè, la variabile dipendente è la Pedagogia, la costante strategica è la spesa. La funzione è matematicamente perfetta: l’INVALSI, di conseguenza, è ignaro delle “priorità tecniche-scientifiche” della Pedagogia e delle Scienze dell’Educazione perché il mandato ministeriale è comunque dato dalla costante “spesa”. L’INVALSI svolge il suo ruolo meccanico di macchina di una filiera in cui è inserita. Punto.

Qui si pone un problema serio sul piano squisitamente statistico. Qualsiasi soggetto privato, per testare come il suo prodotto vada sul mercato, fa indagini a campione che oggi hanno raggiunto livelli estremamente sofisticati di ottimizzazione nel rapporto costi/benefici. Viceversa, l’INVALSI è un mastodonte, un carrozzone spaventosamente pesante ed articolato che blocca per due settimane le scuole (segreterie comprese) e indaga minuziosamente ogni singola scuola, ogni singolo studente (ognuno di noi sa come risalire dai codici alle classi ed alla marcatura delle singole prove).

Comunque, bisogna dire che l’INVALSI, dal suo punto di vista, fa bene il suo lavoro perché le “priorità tecnico-scientifiche”, per il Ministero e per lui, sono sempre quelle relative alla costante: e cioè l’analisi quantitativa degli effetti della spesa su elementi “misurabili” (dai tempi di Galileo sappiamo che non si fa scienza di ciò che non può essere misurato) quali obiettivi e performance precostituiti, matematicamente definibili a prescindere dal loro assetto pedagogico educativo.

Ma è esattamente qui il punto di criticità irrisolto: nel fatto, cioè, che sono proprio gli “effetti educativi” reali a non essere misurabili. Perché essi non sono episodici ma in divenire costante dentro la persona, in quella parte del nostro esistere che in passato si chiamava “spirito” e che oggi ognuno chiama come gli pare a seconda dei suoi riferimenti culturali, comunque quella cosa là. Tutto il metacognitivo (praticamente il 90% delle Scienze dell’Educazione e il 100% della Pedagogia) restano invisibili all’occhio dell’INVALSI.

LA SCUOLA CAPOVOLTA (e non è la flipped classroom)

Tutto questo sarebbe, a noi della Scuola, del tutto indifferente: è la Politica che, acquisiti i dati, deve interpretarli e fare le sue scelte. Solo che viviamo in un mondo capovolto: oggi le Indicazioni Nazionali si infrangono, con il loro dotto apparato dottrinale, contro due Moloch contigui e coerenti, le prove INVALSI e l’esame di Stato del secondo ciclo superiore. Sono loro che dettano cosa si deve studiare, i tempi, come e quali risultati devono essere raggiunti, con buona pace di tutto l’inutile fardello di programmazioni, PTOF, metodologie, fini educativi, progetti, rapporti con le famiglie…

Abbiamo, così, una Scuola schizofrenica, che deve dare tutto e tutto il suo contrario; e tutto a prescindere dal PIL del suo territorio, dalla presenza di sollecitazioni extrascuola, dal curricolo implicito degli studenti; a prescindere cioè da tutto ciò che determina la vita dei ragazzi in quanto Sapiens o, se preferite, “persone”.

Tutto il Sistema Nazionale di Valutazione (SNV), in cui le scuole cominciarono ad essere inserite con il RAV (Rapporto di Autovalutazione), si fonda esattamente su questo: sui parametri di spesa e su quelli INVALSI. Se tu dici a un fiume: vai secondo le necessità della tua acqua, ma poi a valle la tua acqua non è omologabile per i filtri della diga, sei davvero un farabutto. Perché il fiume, a quel punto, o si infrange o deve dire alla sua acqua “se non sei adeguata è meglio che evapori”; il che è il meccanismo della dispersione scolastica.

L’INVALSI E LA DaD

Fatta questa lunga premessa analitica, le conclusioni possono essere molto brevi.

  1. La Didattica a distanza (DaD) l’anno scorso ha salvato la scuola. Solo 10 anni fa non avremmo avuto alternative alla chiusura totale. È stata un’ottima medicina che, come tutti i farmaci, se presa per troppo tempo o senza necessità, ti ammazza. Per cui, se a settembre non ci saranno alternative (mo’ lasciamo stare di chi è la colpa o l’incapacità della Politica), se non ci saranno alternative, la medicina va ripresa. Fermo restando la necessità di scongiurare ogni accanimento terapeutico.
  2. Quello che non è accettabile è ritenere che la DaD o la DDI (Didattica digitale integrata) possano diventare una scelta. Non è accettabile che queste modalità operative – fatta salva la costante dell’invarianza della spesa – possano integrare strutturalmente il lavoro didattico ed educativo, salvo che per lungodegenti e casi di particolari problemi di isolamento. La DaD e la DDI non hanno nulla a che vedere con la didattica digitale, e nemmeno con tutto il metacognitivo e l’affettivo che, come già ricordavo, sono il nocciolo duro ed imprescindibile della Pedagogia e del concreto lavoro educativo.
  3. L’INVALSI ha applicato anche per il 2020/2021 la sua analisi numerica, non è sensibile al contesto. L’indagine INVALSI non dice che la DaD sia stata un disastro: ci dice semplicemente che laddove presenti, i mali della scuola si sono acuiti e che il venir meno del rapporto personale con lo studente ha alimentato fortemente la dispersione scolastica. E questo è normale, perché la DaD ha fatto il suo lavoro di medicina sintomatica: ha contenuto i sintomi e mantenuto in vita il paziente in attesa che altri farmaci lo guariscano. Ma se nemmeno dopo la malattia si prendono provvedimenti per rimuoverne le cause, la colpa non è del farmaco, è del medico.
  4. Se vogliamo uno strumento di indagine volto alla comprensione reale della scuola reale dobbiamo liberarci dell’INVALSI e della sua logica, del suo insopportabile, asfissiante ed ottuso peso sul lavoro quotidiano delle scuole. Il che significa mettere in piedi un sistema di valutazione che FIN DALL’INIZIO, cioè fin dal mandato di indirizzo del Governo, si apra all’indagine d’ambiente e di territorio sulla base di un mandato chiaro in cui il rapporto tra la costante e la variabile della funzione sia invertito. È solo una questione di scelta politica.

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