“Uomini malati e pericolosi che, attraverso una pretestuosa lotta di emancipazione, desiderano distruggere la coppia e la famiglia che si fondano sulla differenza sessuale”: questa l’affermazione che più volte abbiamo ascoltato dal patriarcato in ogni sua declinazione.
Il modello patriarcale dominante è quello organizzato, ordinato e disciplinato dal maschio bianco, eterosessuale, cisgender, di classe medio-alta, abile, adulto e produttivo. È la tipologia di maschio che marchia la “femmina” come moglie, come figlia, come oggetto. È la tipologia di maschio che in senso verticale educa il figlio maschio affinché sia uguale a lui, in modo da riprodurre ritmicamente, ogni istante se stesso.
Ora, nel 2021, seppur meno cruento, questo maschio, dopo essersi sentito minacciato dalle “femmine”, scaglia la propria ira contro le persone LGBTQI+ perché avverte il pericolo di una nuova rivendicazione rivoluzionaria dell’assetto politico dominante costituito attorno alla naturalità. In questo contesto, la eteronormatività è concreto strumento di dominio, è l’unica lettura possibile, l’unica declinazione possibile dei rapporti sociali, culturali, politici che il pensiero dominante possa accettare. Così, a fronte di questa chiusura, la “pretestuosa” lotta di riconoscimento e di emancipazione diviene un potente fattore di destabilizzazione dell’ordine veterosessuale binario. E non è più questione di ‘costituzionalizzare’ le diversità.
La costituzionalizzazione delle persone LGBTQI+ ha, infatti, solo due strade davanti: o viene del tutto rifiutata, cavalcando l’onda moralista del pensiero liberale; o deve rientrare in un processo di normalizzazione attraverso la razionalità sempre del pensiero liberale. Altri spazi non esistono, altre strade vengono dichiarate non percorribili. Sono entrambe opzioni costruite sulla posizione ideologica del sesso binario e biologico che rifugge una qualsiasi costruzione culturale, sociale e politica alternativa.
Di fatto, la costruzione dei movimenti LGBTQI+ ha donato consapevolezza e visibilità alle persone, ma allo stesso tempo ha trovato strada e terreni praticabili solo se mediati da formule e modelli fintamente inclusivi. “Un cambiamento graduale culturale” che però non è “decostruzione della società, iniziando dalla famiglia e dalla educazione dei figli”.
Sono state proposte alcune pratiche: necessarie, ma non sufficienti. È il caso dell’utilizzo del linguaggio inclusivo sia in forma orale che scritta. La forma orale potrebbe risultare più difficile; ma quanto potremmo essere maggiormente inclusivi nella forma scritta utilizzando la <<scevà>> (Ә) nei comunicati, nei volantini, nei manifesti, sui quotidiani e nelle comunicazioni generali? Un linguaggio aperto alle diversità che ciascunӘ di noi rappresenta, al di là dell’orientamento, del genere, dell’identità, della propria fluidità.
Il passaggio dal neutro-maschile al linguaggio sessuato, sulla base che il “parlare non è mai neutro”, ha significato riconoscimento delle donne. L’attuale Ә – che è espansione del linguaggio oltre la rappresentazione dicotomica dei generi – deve trovare corrispondenza nella pratica, e attraverso la cultura deve fare implodere la norma liberando le diverse soggettività.
Come è stato possibile sottovalutare il disagio delle persone LGBTQI+ nel mondo del lavoro e allo stesso tempo predicare “un altro mondo è possibile”? Come è stato possibile non impegnarsi in pratiche autentiche di liberazione contrapposte all’eteronormatività e basate su nuovi percorsi di cittadinanza a partire dal posto di lavoro? Quanta oppressione, sfruttamento, disagio e ricatto soffrono ed hanno sofferto le persone LGBTQI+ in un contesto eteronormato?
Orlando Merenda, giovanӘ 18enne di Torino pochi giorni fa si è tolto la vita. Era unӘ studentӘ di un istituto alberghiero. Di lì a poco si sarebbe affacciato al mondo del lavoro, barman o cameriere, non un grande professionista o un imprenditore. Nel lavoro avrebbe trovato le stesse dinamiche della scuola, stesse discriminazioni.
Ragionando ciecamente come se i diritti civili e la LGBTQI+fobia fossero una questione disgiunta dal contesto sociale, politico, lavorativo, istituzionale si è agito per anni discutendo solo delle forme burocratiche che potessero legare un amore. Qualcosa di meglio è venuto sul linguaggio e sulle pratiche di << diversity management >>, con la normativa antidiscriminatoria che prova contrastare il minority stress nell’ambito dello stress da lavoro correlato attraverso l’art. 28 del Dlgs. 81/08 TU Sicurezza e art. 2087 del CC.
Ma non basta una giusta misura di sicurezza sul lavoro. È qualcosa di più accettabile, ovviamente, delle unioni civili, che sono state un appiattimento rivendicativo limitato ad una richiesta di norme che permettono l’inclusione nel sistema dominante patriarcale e capitalistico. Ma comunque non basta.
Come il patriarcato non dà la possibilità del libero sviluppo della persona nelle forme organizzative del lavoro, così l’altra faccia della medaglia, il liberismo, lo accentua attraverso il precariato. Quale persona LGBTQI+ innanzi al ricatto occupazionale, e con la paura di perdere un reddito, potrà essere libero di fare veramente coming out o contrastare/denunciare una condotta discriminatoria?
L’omologazione attraverso un processo di normalizzazione è l’accettazione del concetto retrogrado di <<maschio>>. Conservare, invece, la propria diversità e autenticità significa contestare radicalmente capitale e patriarcato.
Si è fatta esplodere la rabbia dell’uguaglianza e della parità rivendicando, ad esempio, di estendere il concetto di famiglia alle relazioni omosessuali, con evidente adesione al processo di normalizzazione. E invece avremmo dovuto, far esplodere la rabbia della diseguaglianza, rivendicando l’autenticità della diversità, sovvertendo e riformulando il concetto di famiglia, provando a discutere delle famiglie sociali o tracciandone un concetto completamente nuovo…
Sembra assurdo che nel 2021 bisogna citare e rimpiangere Judith Butler o l’amato Mario Mieli del 1977 che ragionava in merito alle “soggettività non conformi” ed aӘ migrant! Il fermarsi, il non continuare a rifondare, rimodulare ed evolvere quei pensieri ha significato cedere alla strada del processo di integrazione e abbandonare il “concetto di cittadinanza deterritorializzata”.
I territori, come pure la pelle, l’Io, il genere, l’orientamento e quindi la cittadinanza non possono essere delimitati da confini, creando così anormalità; devono essere pensati, piuttosto, come un “processo in continua evoluzione” per far sì che ‘l’ineguale’ viva di diritti nell’autenticità delle proprie differenze.
Non partire a declinare un << mondo nuovo possibile >> anche da questi punti, ha significato non prendere in considerazione la dimensione politica, ha significato non riconoscere l’esistenza di conflitti reali e complessi, lasciando tutto nelle mani del partito unico del neoliberismo che ha egemonizzato secondo i suoi schemi razionali. Ma i conflitti, così come la costruzione di identità collettive non possono avere né una dimensione né una soluzione razionale. Rispondere con la razionalità della strategia, giocando sullo stesso terreno del neoliberismo, ha annullato, per dirla con le parole di Chantal Mouffe “la dimensione affettiva”, le passioni, il sogno.
Nel XX secolo era la dimensione del sogno e della speranza che muoveva le masse, il movimento operaio, i comunisti. D’altro canto, quel sogno è stato messo in crisi, e in parte distrutto, nel momento in cui il mondo intero è venuto a conoscenza di gravi atti contro la vita. Abbiamo lasciato il sogno, ma ancora non abbiamo il coraggio di raccontare tutta la verità. Quali denunce sono state portate avanti contro gli orrori di Fidel Castro, che solo negli ultimi anni di vita ha posto le sue scuse alla comunità LGBTQI+? Erano altri tempi, in moltӘ rispondono.
Ed oggi? Pedro Castillo vince le elezioni alla Presidenza del Perù. Da una parte lo slogan “Basta poveri in un paese di ricchi” irrompe sulle diseguaglianze economiche con grande merito e stima fra la popolazione; dall’altra parte, come la più becera destra, egli assume posizioni misogine e omobilesbotransfobiche schierandosi contro il diritto a sposarsi delle coppie dello stesso sesso, contro l’aborto e contro l’eutanasia e rilanciando finanche il complottismo dell’ideologia gender. Ma nel milieu della sinistra di alternativa, non una parola in merito, se non da sparutӘ gruppi.
Ma non si tratta di casi isolati. Come mai, ad esempio, oltre agli strazianti e giusti messaggi sui vergognosi bombardamenti degli israeliani contro il popolo palestinese, non si sono mai potuti apprezzare appelli e interlocuzioni con le comunità esistenti sul territorio geografico italiano, così come si dovrebbe fare per qualsiasi “ingiustizia nel mondo”, per fermare in Palestina le tante uccisioni a sfondo omobilesbotransfobico?
Parlare di lavoro, di lotta alle diseguaglianze, di emancipazione è possibile farlo solo declinando e costruendo un nuovo immaginario, nel senso dell’ecotransfemminismo migrante, dell’emancipazione e dell’unità dei popoli sfruttati di tutti i sud e di tutte le periferie del mondo. Non è un caso che il movimento LGBTQI+ è sempre più contaminato da temi intersezionali, quella intersezione vissuta sui propri corpi e che può diventare massa critica come in Colombia.
Infatti, lì dal 28 aprile si è scioperato in opposizione alla riforma fiscale del governo di Ivàn Duque che avrebbe fatto pesare il prezzo del debito pubblico sulle classi medie aumentando l’IVA sui servizi pubblici, congelando degli stipendi degli statali e applicando sgravi fiscali per le grandi imprese. Nella pandemia la soglia di povertà ha raggiunto, in Colombia, il 42%. Le mobilitazioni che sono sempre più aumentate soprattutto a causa di una feroce repressione (3.789 casi di violenza della polizia, 41 mortӘ, 32 casi di violenza sessuale accertati, 346 persone scomparse) hanno messo alle strette il governo che ha ritirato la riforma il 2 maggio.
E lì, nel momento più acuto degli scontri, improvvisamente, ai piedi dei poliziotti armati e in antisommossa che stavano per sferrare l’ennesima carica, si è materializzato e contrapposto un fronte di resistenza transfemminista, che ha disorientato e bloccato i poliziotti, ballando il voguing e la guaracha con tanto di tacchi e parrucche colorate. + stata la scelta non solo artistica, ma soprattutto politica, di una resistenza senza bombe, non-violenta, fatta di corpi nudi, vulnerabili, indifesi che, appunto, si contrappone con le passioni e non con la mascolina razionalità. Una contrapposizione intersezionale vera; dove gli ultimi non fanno a gara per rivendicare di essere più ultimi di qualcun altro.