Cultura e riscatto democratico

1) Democratizzazione della Cultura versus Democrazia Culturale

Alla fine degli anni ’50, la Francia inaugurava il Ministero degli Affari Culturali e, lungo gli anni ’60, ha sperimentato modelli piuttosto primordiali di politiche culturali.

Il primo di essi, noto come la democratizzazione della Cultura, aveva l’obiettivo di consacrarla, farla (ri)conoscere e renderla accessibile alle più diverse fasce di popolazione. Terminologie come “dare accesso alla cultura” e “portare la cultura a” fanno parte dell’universo simbolico e ideologico di quel modello. Tali formulazioni presupponevano che ci fossero persone senza alcuna cultura e che esistesse una Cultura, con la C maiuscola, di proprietà delle élite e posta al di sopra delle contraddizioni e delle tensioni della società e della cultura stessa. E presupponeva che ci fossero diverse comunità nel mondo, da avviare, in segmenti proporzionati, alla cultura con la C maiuscola.

Questo modello è andato in crisi con le manifestazioni politico-culturali, culminate proprio in Francia nel maggio 1968. In quegli anni emerse un altro modello, quello della ‘democrazia culturale’. Nonostante i termini siano molto simili, essi hanno significati contrapposti.

Il modello di democrazia culturale riconosce che tutte le persone sono immerse in ambienti culturali e sperimentano la cultura. O meglio, le culture. Quindi si tratta di elaborare politiche culturali basate su modelli in grado di riconoscere, incoraggiare e dare visibilità a un insieme variegato di culture.

L’assunto di fondo è costituito da un concetto ampio di cultura, in particolare dall’idea che tutte le politiche culturali esprimano, esplicitamente o implicitamente, un contenuto culturale che coinvolge le più diverse azioni umane, come anche il patrimonio materiale e immateriale, i modi di vita, le visioni del mondo, i valori, i pensieri, le tradizioni popolari, i costumi gastronomici, le identità particolari, le narrazioni digitali e tutte le più diverse forme di relazione sociale.

2) Cittadinanza culturale

Una visione ampia dei contenuti culturali consente di superare la tradizione elitaria della cultura, ed apre le politiche culturali alla diversità culturale e a nuovi agenti, gruppi, comunità, organizzazioni e istituzioni che nel passato non venivano accolti e riconosciuti come rilevanti per la cultura umana. È una dinamica che ha conseguenze rilevanti anche sulla concreta cittadinanza delle persone.

In senso generale, la cittadinanza è il diritto ad acquisire diritti. Naturalmente, la nozione implica anche doveri, ma la costruzione della moderna nozione di cittadinanza si è soprattutto intrecciata con la conquista dei diritti. E oggi come oggi la cittadinanza culturale è uno degli obiettivi più rilevanti delle politiche culturali democratiche ed emancipatrici.

In sintesi, si può dire che la cittadinanza culturale coinvolge i seguenti orizzonti articolati tra loro: il diritto ad esprimere e a far riconoscere la propria identità culturale, il diritto di sperimentare la propria creazione culturale e quello di conoscere e sperimentare altre culture, il diritto alla diversità culturale e al dialogo interculturale, il diritto di partecipare ai dibattiti e alle decisioni sulle politiche che riguardano la cultura.

3) Cultura ed educazione

In tutte le società umane, la cultura e l’educazione mantengono stretti rapporti. L’educazione, informale e formale, può essere considerata come la trasmissione della cultura alle nuove generazioni.

Pur avviandosi in modo informale, l’educazione si istituzionalizza e si formalizza attraverso la scuola e la sua universalizzazione. Spetta specificamente alla scuola (pubblica) non solo trasmettere metodologie di approccio ai contenuti culturali e garantirne l’accesso universale, ma anche stimolare la fruizione dei diversi orizzonti culturali. Senza una solida connessione con l’istruzione, il miglioramento della cultura di ogni individuo e l’accesso alla diversità delle culture è a serio rischio. Consolidare i legami tra cultura e istruzione è quindi vitale per lo sviluppo della società e degli individui.

Sono perciò imprescindibili politiche educative che aggiornino continuamente l’insegnamento delle arti e delle lettere nei programmi scolastici, la formazione degli insegnanti per questi ambiti, la preparazione delle istituzioni culturali ad accogliere il pubblico scolastico con solidi programmi di educazione artistica, nonché la presenza nell’ambiente scolastico delle biblioteche e delle attrezzature per la diffusione di produzione culturale.

Nell’ambito delle metodologie pedagogiche, uno dei concetti emergenti è quello della trasversalità. Tale concetto traduce l’idea che la cultura permea e mantiene relazioni intime con molti campi sociali: non solo l’istruzione, ma anche la comunicazione, il turismo, l’economia, la politica, la scienza e la tecnologia, la politica.

Ciò determina la possibilità e finanche la necessità di sviluppare ‘attività congiunte’. Ma occorre farlo contemplando gli interessi di tutte le aree coinvolte e non, come talvolta accade, subordinando la cultura a interessi e logiche di altri campi. Le politiche culturali, per essere sostanziali, devono esercitare la trasversalità in modo creativo, con innumerevoli altri campi sociali, con particolare attenzione a quelli dell’educazione e della comunicazione.

4) Cultura e comunicazione

La modalità della comunicazione interpersonale è presente il tutto il corso della storia, ma dal XIX secolo in poi, attività e condizioni diverse hanno prodotto un peculiare tipo di comunicazione, mediata da dispositivi socio-tecnologici. Questa comunicazione, inizialmente presente solo in alcune società, si è diffusa ed ha conquistato il mondo intero, assumendo aggettivi come: sociale, collettiva, di massa ed altre accezioni problematiche.

La comunicazione mediatica attraverso i vecchi mezzi (giornali, radio, televisione, ecc.) e i nuovi media digitali, si è trasformata oggi nell’ambiente culturale predominante. I cosiddetti mezzi di comunicazione sono, in senso stretto, mezzi formidabili di produzione e distribuzione di beni culturali. Non è possibile ignorare il loro enorme ruolo nella cultura di oggi. La comunicazione marca profondamente la cultura contemporanea, circoscrivendo i processi sociali e contribuendo alla definizione dei comportamenti collettivi e individuali.

Si aprono problemi inediti, poiché il dominio dei media digitali, soprattutto dei social network, impone la necessità di politiche culturali specifiche, che includino temi come l’arte digitale, l’audiovisivo e lo streaming, ad esempio. Ed impone, parallelamente, l’attenzione alla pluralità, alla diversità e alla deconcentrazione della produzione e della fruizione culturale. La politica culturale diviene perciò un aspetto decisivo della politica in quanto tale.

5) Cultura e politica

Nell’ambito culturale si tende spesso a dimenticare che le politiche culturali dialogano strettamente con la politica. Implicano delle scelte, che restano squisitamente politiche anche quando si vogliono far passare per mere questioni tecniche.

In contrasto con quanti puntano alla invisibilità ideologica delle deliberazioni assunte dalle politiche culturali, va messo in chiaro che uno degli obiettivi delle politiche culturali – oltre a rispondere alle esigenze culturali della popolazione, sviluppare la dimensione simbolica della società, garantire i diritti culturali e la cittadinanza culturale – è proprio la trasformazione dell’attuale cultura politica nella società.

Non è accettabile che una politica culturale, democratica ed emancipatrice non affronti il ​​tema dei valori egemoni nella società e nel campo stesso della cultura. Delle autentiche politiche culturali di sinistra devono avere l’esplicito obiettivo di trasformare la cultura politica esistente, segnata dall’autoritarismo, dal clientelismo, dalla disuguaglianza, dai privilegi, dai pregiudizi e dalla discriminazione.

Tra i principali obiettivi dell’azione culturale di governi realmente popolari è necessario che figuri il consolidamento dei valori democratici. Essi, del resto, alimentano lo stesso impegno per la promozione delle libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà e dell’emancipazione delle classi subalterne.

6) Decentramento culturale e Territorializzazione della cultura

La maggior parte dei Paesi del mondo soffre il fenomeno dell’alta concentrazione delle attività rilevanti, dei poteri e delle risorse. Ciò riguarda anche, in modo profondo, il campo della cultura. Non sorprende, ad esempio, che le strutture culturali siano concentrate nelle grandi metropoli, nelle capitali o nelle zone centrali delle città.

Per affrontare queste sperequazioni sono state sviluppate – in molti Paesi, Stati e città – politiche di deconcentrazione. Esse mirano a rendere più accessibile la distribuzione e l’accesso a beni e servizi culturali, anche in termini di spazio geografico. Di fatto, il decentramento culturale è fondamentale per affrontare criticamente i processi di concentrazione che sono immanenti al capitalismo.

In verità, nel campo della cultura, alcune nozioni alquanto approssimative, quali deconcentrazione, decentramento e impulso verso i centri minori, sono state sostituite di recente, in una prospettiva più rigorosa, con la terminologia della Territorializzazione (nel senso di ‘regionalizzazione’) delle politiche culturali.

Non si tratta di promuovere un semplice decentramento, anche se questa procedura non è esclusa. La Territorializzazione va oltre. La sua nozione nasce dalla constatazione che il territorio stesso è cultura, ha una sua peculiare impronta culturale. Ogni territorio, infatti, possiede un ambiente simbolico, che emana e produce cultura.

In sostanza, la Territorializzazione parte dal riconoscimento fondamentale che le politiche culturali contemporanee non possono in alcun modo prescindere dalla dimensione regionale e propone di considerare il territorio come una componente fondamentale delle specifiche politiche culturali.

7) La partecipazione politico-culturale e le reti

La partecipazione politico-culturale è una componente della cittadinanza culturale, un principio guida che deve far parte delle politiche culturali democratiche di sinistra. Al giorno d’oggi, i meccanismi di partecipazione culturale devono includere sia le attività presenziali che quelle digitali virtuali, consentendo una costruzione porosa e democratica della gestione culturale.

Le reti esistono da tempo. Nell’epoca contemporanea hanno acquisito una posizione notevole e sempre più diffusa, fino a diventare un fenomeno così tipico da poter definire le nostre società come ‘società in rete’. Inoltre, l’espansione tentacolare delle reti è intrinsecamente associata all’emergere delle sociotecnologie digitali.

Dagli anni ’90 del XX secolo, con l’avvento della rete Internet, il fenomeno si è generalizzato. Le reti culturali esistevano anche precedentemente alle sociotecnologie digitali, ma dalla nascita di quest’ultime si sono moltiplicate in modo esponenziale. Oggi sembra impossibile sviluppare politiche, anche pubbliche, in qualsiasi ambito della società, senza ricorrere alle pratiche e al lavoro in reti, sia presenziali che digitali virtuali.

8) Dialoghi interculturali

La cultura è un territorio ricco di conflitti. Essi originano, in particolare, dalla ‘logica di dominio’ delle posizioni che esprimono visioni elitarie e che identificano e relegano la cultura solo a quella già consacrata, riconosciuta e ritenuta colta. In opposizione a questa visione sono emersi diversi modi di guardare alla cultura in un orizzonte più plurale. Le tesi dei multiculturalisti e dei seguaci della diversità culturale cercano di enfatizzare e riconoscere, da diverse prospettive teorico-concettuali e politiche, la ricca pluralità della cultura.

Tali atteggiamenti diretti al superamento delle posizioni elitarie non sono a loro volta privi di pericoli. I dialoghi culturali ne evidenziano uno: il rischio di formare ghetti culturali pietrificati da qualche enfasi fondamentalista sul multiculturalismo o sulla diversità culturale. Per evitare un dannoso effetto di queste posizioni, è necessario sviluppare continuamente dialoghi interculturali aperti e intensi.

In fondo, la cultura è scambio, è intercambio con altre culture. Ogni volta che viene proposta una cultura pura, il risultato è sempre disastroso per la cultura e la società. La cultura è sempre spuria e rimane viva proprio in quanto aperta al dialogo interculturale.

Ma attenzione. A loro volta anche dialettiche culturali forzate e inadeguate possono rivelarsi corrosive per la cultura. Per esempio, quando diventano diseguali, a causa dell’imposizione di poteri asimmetrici. In questi casi, invece di dialoghi, vi è il rischio che si verifichino fenomeni di costrizione culturale.

9) Le identità culturali

I processi di costruzione delle identità culturali variano nel corso della storia. Nel XIX secolo ed in gran parte del XX, ha predominato l’enfasi per la costruzione di identità culturali nazionali e di classe. Esse hanno agito come attori politici e culturali dominanti e potenti.

Durante la seconda metà del XX secolo e l’inizio del XXI secolo, sono emerse molteplici identità culturali che hanno acquisito forza politica come risultato delle lotte di nuovi movimenti sociopolitici. Le identità culturali riferite all’età, ai fattori etnico-razziali, a quelli di genere e di orientamento sessuale, per esempio, sono diventate componenti costitutive della scena politica e culturale contemporanea. Questi movimenti di identità hanno generato culture identitarie significative, che costruiscono nell’epoca contemporanea sistemi di riconoscimento individuale e collettivo, in una dinamica fluida, segnata da una maggiore mobilità.

Le identità culturali dei popoli nativi, degli afro-discendenti nelle Americhe, delle femministe, dei giovani, dei bambini, degli anziani, delle comunità LGBTQIA+, sono diventate elementi sempre più presenti e visibili nella vita culturale nazionale e internazionale, nonostante le tensioni e spesso gli attacchi e le repressioni cui sono sottoposte.

Fenomeni come fondamentalismo, razzismo, xenofobia, LGBTfobia e pregiudizi diversi mettono a rischio le identità culturali e sono stimoli alla violenza, alla polarizzazione e alla divisione sociale. Debbono essere affrontati e combattuti, da parte della società e degli stessi governi, soprattutto in ambito culturale. In ogni caso, nell’ambito delle politiche culturali contemporanee, vanno contemplate le istanze di riconoscimento pubblico delle diverse identità culturali e garantite le condizioni per una convivenza pacifica e rispettosa tra le diverse identità.

10) L’egemonia culturale

Linee di pensiero diverse attribuiscono distinti significati alla nozione di egemonia. Il senso più comune identifica l’egemonia come la condizione di preminenza che emerge dalla disputa politico-culturale che si sviluppa nella società civile delle attuali società complesse.

Questa disputa-conflitto comporta la mobilitazione di classi e gruppi sociali, per mezzo di dispositivi di produzione e mezzi di diffusione di concezioni del mondo finalizzati alla persuasione intellettuale, emotiva e morale, con l’obiettivo di conquistare, appunto, l’egemonia nella società.

La disputa per l’egemonia presuppone l’esistenza di ambienti democratici e di pluralismo politico, in cui gli avversari politici e culturali sono riconosciuti come legittimi partecipanti al gioco politico democratico. Essa si differenzia in modo radicale dalla cosiddetta “guerra culturale”, termine oggi disgraziatamente in voga in vari paesi.

La guerra culturale, agitata da gruppi reazionari tradizionalisti, lungi dall’essere un’effettiva disputa di idee ed emozioni, agisce affinché la cultura produca un clima sociale che sdogani l’uso della violenza, simbolica e/o fisica; non per acquisire consenso, ma per annientare gli avversari, trasformati dalla narrazione, basata sull’odio e sulle notizie false, in nemici da distruggere. Tale guerra culturale intende porre fine alla disputa politico-culturale svolta in circostanze democratiche e tende ad instaurare le condizioni per un regime autoritario.

In altre parole, la disputa per l’egemonia è iscritta nel campo della democrazia, mentre la guerra culturale viene sviluppata nel registro dell’autoritarismo.

11) La diversità culturale

Nel tentativo di indurre regole per il commercio internazionale, alcuni paesi, in particolare gli Stati Uniti, hanno tentato di affermare che i beni ed i servizi culturali dovrebbero essere trattati come qualsiasi altra merce. Altri paesi, tra cui la Francia, hanno sostenuto che il carattere peculiare di questi beni e servizi implicava che dovessero essere trattati come una “eccezione culturale”, con norme che ne contemplavano il loro specifico ruolo nella costituzione delle identità.

A seguito dello sviluppo di accesi dibattiti internazionali, la sintesi si è evoluta verso l’idea della diversità culturale come ricchezza da preservare e promuovere, per lo sviluppo culturale dei paesi e dell’umanità. Di fatto, l’Unesco ha promulgato, nel 2001, la Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale e, nel 2005, la Convenzione sulla Protezione e la Promozione della Diversità delle Espressioni Culturali.

Questo dibattito e la conseguente regolamentazione internazionale hanno reso la diversità culturale un tema obbligatorio nell’ambito delle discussioni e delle deliberazioni di politiche culturali in tutto il mondo. Tuttavia, la comprensione della nozione di diversità culturale non è unanime, poiché le sue accentuazioni interpretative variano.

In Europa, ad esempio, il tema della diversità culturale è strettamente legato all’audiovisivo e alla lotta contro il prevaricante dominio del mercato mondiale da parte degli Stati Uniti, mentre nei paesi dell’America Latina la vertenza che orienta la questione della diversità culturale è rivolta alle svariate culture presenti nel contesto della formazione latino-americana: popoli nativi, afroamericani, specifiche comunità tradizionali. Qualunque sia la comprensione della questione, la diversità culturale guida oggi le politiche culturali a livello globale.

12) Economia della cultura

Sebbene il capitalismo abbia avuto i suoi inizi nel XVII secolo, il sistema ha consolidato i suoi specifici modi di produzione solo nel XIX secolo. In quel periodo, la lunga transizione da una sussunzione formale ad una reale sussunzione del lavoro al capitale è avvenuta solo nella sfera della produzione dei beni materiali. Nel contesto dei beni culturali, la situazione rimaneva pressoché invariata, a parte qualche esperienza di mercificazione di alcuni di essi, come l’emergere del commercio dei libri.

Poi, già nel XIX secolo, il capitalismo ha iniziato ad alterare la produzione dei beni culturali. La nozione di industria culturale nasce con l’obiettivo di mantenere questo processo di sussunzione della produzione di beni culturali in una logica capitalista. Cioè agisce in modo che i beni culturali si sviluppino, a partire dal loro processo produttivo, come merce. Succede quindi che il bene culturale non diventa merce attraverso la circolazione, ma nasce già prodotto come merce. Tale trasformazione inaugura un’economia della cultura che si sviluppa pienamente nel XX secolo e successivamente si consolida.

È innegabile che oggi il mercato sia diventato un vettore predominante e pervasivo nella società con un impatto culturale gigantesco. Questa situazione finisce per influenzare la produzione culturale. La disuguaglianza di opportunità e risultati determina effetti diretti e indiretti in campo culturale, mentre le condizioni regressive che permeano la società spesso si riversano nei contenuti delle produzioni.

Attualmente, la produzione di beni e servizi culturali cresce ad un livello superiore alla produzione di beni e servizi materiali. La dimensione economica della cultura oggi non può certo essere trascurata, ma questo non può significare che la cultura possa essere ridotta all’economia della cultura.

A questo riguardo, è importante ricordare che artisti e creatori di cultura, per la maggior parte, sono sempre stati – nei vari Paesi – in prima linea nelle lotte per la democrazia, i diritti e le libertà; ed hanno spesso contribuito con la loro produzione artistica alle lotte contro le dittature e ogni forma di autoritarismo.

Tuttavia, anche se storicamente questo settore è stato per lo più dalla parte dell’emancipazione, non manca un segmento culturale che agisce per rafforzare l’ideologia del conservatorismo, del fondamentalismo e del pregiudizio. Ciò accade perché la cultura come ogni manifestazione umana è permeata da contraddizioni di classe, razza e genere.

Perció è importante sottolineare che la cultura non è un santuario immune dagli effetti oppressivi dei sistemi di potere, ma un campo di disputa e di conflitto di valori, coscienze, sentimenti e percezioni del mondo.

Concepire la cultura nella ‘complessità in conflitto’ implica affermare che le politiche culturali devono essere in sintonia con i valori democratici come la diversità, la pluralità, la difesa dei diritti umani e la promozione dell’uguaglianza e dell’equità sociale.

La promozione di progetti culturali deve incoraggiare l’ampia espansione dei repertori artistici, la riflessione critica degli individui e delle comunità e la lotta contro i pregiudizi e l’incitamento all’odio. La cultura non è neutrale, anche se esiste un campo ammirevole di possibili convergenze. Dunque, è necessaria una politica culturale basata sui valori umani, non inscritta in alcuna illusoria neutralità.

13) Sostenibilità culturale

La trasposizione della nozione di ‘sostenibilità’ nel campo della cultura si è sviluppata in maniera piuttosto problematica. Nell’ambito dell’ambiente e dell’ecologia, l’idea di sostenibilità qualifica e, allo stesso tempo, delimita il modello di sviluppo. In campo culturale, in modo semplificato, la stessa nozione spesso serve surrettiziamente a pretendere che le attività culturali abbiano sostenibilità economica.

Si tratta di una pretesa irragionevole, perché molte manifestazioni culturali non hanno e non potranno mai mantenersi finanziariamente senza risorse esterne, che siano esse statali, sociali o aziendali. Come ad esempio: manifestazioni popolari, culture d’avanguardia, arti sperimentali, musei specifici, alcune aree del patrimonio, settori umanistici.

Con la cultura deve quindi accadere qualcosa di simile allo schema utilizzato per lo sviluppo delle scienze. Mentre la scienza applicata può essere finanziata dalle aziende, la ricerca scientifica pura deve essere finanziata dallo Stato e dalla società.

In altre parole, la sostenibilità nell’ambito della cultura non si riduce ad una dimensione economica. Per potersi sviluppare, essa è legata ad un insieme di condizioni che preservino e garantiscano la sua libera crescita, diffusione ed espansione.

14) Cultura e sviluppo

Il campo culturale, le entità politiche democratiche e di sinistra, i segmenti sfruttati e oppressi ed i cittadini in generale non possono accettare la visione semplificatrice che identifica lo sviluppo con lo sviluppo economico.

L’emergere di indicatori, come l’Indice di Sviluppo Umano (HDI), ha già messo un freno a questo riduzionismo, aggregando obbligatoriamente le dimensioni sociali al concetto di sviluppo. Tale constatazione ha guidato i governi democratici e di sinistra di tutto il mondo a prestare attenzione alle politiche sociali come condizione per lo sviluppo.

Una concezione contemporanea dello sviluppo deve incorporare la dimensione ambientale, voltata allo sviluppo sostenibile, e una politica che implichi lo sviluppo della cittadinanza, del pluralismo e della democrazia, non solo formale, ma sostanziale: capace, cioè, di assicurare effettivi diritti e doveri sociali. E la dimensione culturale è anch’essa essenziale per lo sviluppo. Essa va fondata sulla cittadinanza culturale; sulle identità e le diversità culturali; sui dialoghi interculturali; sull’autostima culturale di gruppi e territori; sul riconoscimento culturale degli agenti e delle comunità; sui processi culturali di crescita degli individui e delle comunità.

Senza l’attenzione alla dimensione culturale non è possibile la crescita delle istanze emancipatorie nelle nostre società. Tanto meno è possibile uno sviluppo armonioso delle relazioni umane.

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