L’aggressione dei bolsonaristi alle risorse ecologiche del Brasile

Il Coronavirus ha stravolto il modello capitalista imposto alla società e ha colpito ancora di più le popolazioni dei Paesi che già prima vedevano la loro democrazia indebolita. Il caso del Brasile è emblematico, col suo numero altissimo di contagi e decessi.

È soprattutto alle genti delle campagne, delle acque e delle foreste, messe da parte fin dall’inizio dal governo di Bolsonaro, che questi tempi impongono un’ulteriore sfida, tra le tante che sono costrette ad affrontare. Ma pur col virus che infuria, non vengono meno le ‘vecchie’ contraddizioni e i ‘vecchi’ drammi di un Brasile, che registra ora un aumento senza precedenti della disoccupazione: oltre il 14%, più di 14 milioni di persone. E a questo dato si vanno ad aggiungere altri 6 milioni che rinunciano alla ricerca di un lavoro, e altri 40 milioni di lavoratori che vivono di piccoli lavori precari, senza reddito garantito. Il totale dà la cifra spaventosa di 60 milioni di lavoratori e lavoratrici esclusi dall’economia, dai diritti, dalla cittadinanza e dal futuro.

E non è questione solo di precarietà e disoccupazione. Oltre alla pandemia, il Brasile ha dovuto fare i conti con una vera e propria aggressione alle risorse naturali. Enormi fette di territori dei biomi caratteristici del Sudamerica sono state consumate dalle fiamme, mentre gli enti di regolamentazione ambientale venivano smantellati.

Del resto, è piuttosto noto che il governo Bolsonaro ha molto a cuore gli interessi delle grandi imprese esportatrici dell’agrobusiness (sia di prodotti agricoli che pecuari), dei latifondisti, delle imprese esportatrici di legnami pregiati, delle imprese minerarie. Tende perciò a favorire la regolarizzazione fondiaria dell’appropriazione illegale di terre pubbliche, delle riserve per i popoli nativi e di quelle di preservazione ambientale. Queste “regolarizzazioni” sono aumentate come non mai negli ultimi due anni, per mezzo di riforme che hanno infranto l’ordine sociale instaurato con la Costituzione democratica del 1988.

L’alfiere più strenuo di questa guerra bolsonarista alle risorse ecologiche in nome del profitto è sicuramente il suo ministro dell’ambiente, Ricardo Salles, colto in piena ‘flagranza’ da una registrazione nel corso di una riunione ministeriale nell’aprile del 2020 mentre affermava la necessità di unire le forze e approfittare dell’esplodere della pandemia – che polarizzava l’attenzione generale sulla sua drammaticità – per “far passare la mandria di buoi”. L’espressione viene utilizzata volgarmente come metafora, ma rappresenta perfettamente e molto realisticamente ciò che il ministro vuole far intendere.

Queste le sue testuali parole: “Siamo in un momento di tranquillità in termini di copertura da parte della stampa, perché si parla solo di covid-19 e, visto che la stampa si disinteressa di altri temi, abbiamo l’opportunità di far passare riforme infra-legali di deregolamentazione”.

Peraltro, il ministro Salles vanta un curriculum più che eloquente. Qualche tempo prima, aveva esonerato due funzionari veterani di polizia ambientale “rei” di essere apparsi in un’inchiesta televisiva che mostrava un’azione di contrasto ai cercatori “garimpeiros” (i cercatori illegali di minerali e gemme preziosi nelle riserve indigene).

In seguito, aveva raccomandato agli enti di fiscalizzazione e di controllo ambientale di evitare di considerare sotto le direttive della Legge la Foresta Atlantica, il bioma più devastato del Brasile, che oggi conta meno del 10% dell’estensione precolombiana. In sostanza, la nuova misura ministeriale permette il disboscamento di aree minori di 150 ettari senza l’autorizzazione dell’organo di controllo competente (IBAMA).

E per non farsi mancare nulla, il ministro ha anche sponsorizzato l’approvazione del decreto che ha amnistiato gli invasori illegali di terre demaniali fino al 2018 (mentre il precedente decreto condonava solo fino al 2011). E in aggiunta permette la regolarizzazione, con una semplice autocertificazione, di terreni con dimensioni quattro volte superiori al limite fissato in precedenza.

Con questo tipo di gestione dell’ambiente e con queste direttive ministeriali, non stupisce che il fenomeno degli incendi sia deflagrado in Brasile già nel 2019 e ulteriormente aggravato nel 2020: in Amazzonia, nel bioma del Cerrado ed in quello del Pantanal, uno dei più grandi santuari ecologici del paese, in cui una ricchissima fauna e flora è stata inghiottita dal fuoco. Nel solo 2020, le riserve abitate dai popoli nativi sono state devastate da più di centomila focolai di incendi, senza che il governo abbia messo a disposizione nessun mezzo per contrastarne gli effetti distruttivi.

Gli Stati che più hanno sofferto sono il Mato Grosso, che ha visto aumentare del 1.300% gli incendi dal 2019 al 2020 e lo Stato del Pará, in cui i gruppi di invasori delle terre tradizionali dei popoli nativi – soprattutto legati alle imprese di sfruttamento di legnami pregiati -, contando sulle già menzionate leggi di regolarizzazione fondiaria, hanno alacremente lottizzato le aree dentro le riserve. E i dati sui disboscamenti e gli incendi, come anche le segnalazioni dei popoli nativi indicano senza possibilità di equivoco una strettissima relazione tra la maggiore presenza di invasori illegali e i fenomeni di diminuzione delle foreste e di aumento dei focolari di incendi.

Del resto, i gruppi invasori sono arrivati perfino a minare e far saltare i ponti per impedire alle forze della polizia ambientale di accedere nei territori per compiere il proprio dovere di controllo e lotta al disboscamento illegale. Si sentono forti proprio per la sostanziale immunità garantita loro dal governo di Bolsonaro.

È persino superfluo dire che l’invasione illegale delle terre trascina con sé una lunga serie di episodi di violenza. In questi ultimi due anni sono stati denunciati più di 2.400 casi di attacchi violenti, che hanno visto coinvolte più di 280 mila famiglie. I più colpiti sono stati i popoli nativi, per il 54,5% dei casi, le famiglie quilombola, per il 12%, e i piccoli proprietari (l’11%). Il resto delle vittime è formato dai contadini sem terra (sia quelli in accampamenti provvisori che quelli già regolarizzati), dagli estrattivisti, dai pescatori rivieraschi e dai contadini di “fondi di pasto”, territori in cui si praticano attività agropecuarie a partire dalla proprietà collettiva dei terreni.

Gli attacchi realizzati specificamente con armi da fuoco e sparatorie sono triplicati dal 2019 al 2020, arrivando a coinvolgere 4 mila famiglie nell’anno scorso. Gli omicidi registrati nel 2020 in questi specifici ‘conflitti rurali’ sono stati 18.

Un caso particolarmente grave, e particolarmente istruttivo, si è verificato ad agosto del 2020, quando la Segreteria di Pubblica Sicurezza dello Stato di Amazonas ha inviato agenti di polizia del Comando Operazioni Speciali e del Battaglione Ambientale della Polizia Militare per eseguire un’operazione che avrebbe dovuto avere lo scopo di frenare il traffico di droga nella regione. Durante l’azione, come stabilito dal Ministero Pubblico Federale (MPF), la polizia non indossava uniformi e si è confrontata con diversi residenti lungo il fiume e indigeni senza identificarsi. I poliziotti in borghese sarebbero giunti sul luogo utilizzando un’imbarcazione turistica in cui viaggiava anche il Segretario di Pubblica Sicurezza dello Stato.

Ad un certo punto di questa operazione, due agenti di polizia sono morti in una presunta imboscata a spacciatori di droga; e subito dopo, la Polizia Militare ha organizzato un’operazione di rappresaglia con circa 50 agenti. Ma rappresaglia contro chi?

Di fatto, le popolazioni indigene e le comunità della regione hanno inoltrato diverse denunce sugli abusi compiuti dalla Polizia Militare nel corso dell’operazione. Sono elencati dettagliatamente, in tali denunce: l’uso di armi da fuoco per intimidire i residenti, i bambini e gli anziani; il divieto di circolare; gli atti di tortura; la limitazione delle libertà individuali e collettive; gli incendi di abitazioni; le esecuzioni sommarie.

Bilancio confermato dell’operazione: la morte di un indigeno munduruku e di tre residenti della comunità e la scomparsa di due adolescenti e un indigeno munduruku; oltre alla morte dei due poliziotti militari, di un presunto spacciatore, e a sei feriti.

In sostanza: le popolazioni indigene e le popolazioni povere delle foreste e delle campagne, quando non sono colpite dagli invasori al soldo delle compagnie o dai cercatori illegali, lo sono dagli uomini in divisa…

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