1) Il documento “Per una svolta politica e sociale”, che abbiamo proposto la settimana scorsa (https://www.lefrivista.it/2021/03/13/per-una-svolta-politica-e-sociale/), ha suscitato nei nostri lettori interesse, ma anche rilievi critici. In particolare, abbiamo ricevuto tre distinte obiezioni.
La prima concerne l’opportunità della proposta. L’interrogativo è il seguente: ha senso indicare cinque obiettivi, con una logica di vertenza generale nei confronti del governo, mentre la pandemia è ancora così terribilmente aggressiva? Non è più corretto dare preminenza alla difficile vaccinazione di massa, passaggio assolutamente necessario per andare oltre la drammatica vicenda che ci sta sconvolgendo? In sostanza, gli obiettivi da noi proposti dovrebbero essere procrastinati a una fase più normale della vita sociale.
La seconda obiezione è che, indipendentemente dalle difficoltà del contesto, non ci sarebbero le forze sufficienti per costruire una mobilitazione di massa capace di incidere sulle scelte governative. La tesi è che manchino proprio le condizioni storiche, in questa concreta fase, per andare oltre la denuncia e l’indicazione generica su cosa sarebbe giusto e opportuno che avvenisse. In sostanza, l’invito è ad alimentare l’opinione pubblica, continuando a fare quello che, in una logica di riflessione e di approfondimento, LEF già fa da quando è nata.
La terza obiezione è che la chiave di volta capace di modificare l’attuale situazione non risiede nella individuazione di specifici obiettivi, ma piuttosto nella costruzione della soggettività politica antagonista. La tesi è che occorra soprattutto favorire la riorganizzazione politica della sinistra di alternativa, riferimento necessario per il proletariato e le classi povere della società, spingendola a muoversi come realtà unitaria in opposizione al governo Draghi e ai poli politici oggi uniti nel governo. In sostanza: senza un partito esplicitamente posizionato dalla parte del proletariato e contrapposto alle formazioni politiche presenti in Parlamento, tutte ugualmente liberiste e filocapitaliste, non si può costruire alcunché. E se questo partito non c’è, bisogna anzitutto crearlo: poiché la sconfitta storica delle rivoluzioni del Novecento ha reso le classi popolari ancora più incapaci di porsi spontaneamente come soggetto attivo della storia.
2) Come è ovvio, ciascuna di queste obiezioni possiede elementi di verità. Si tratta però, sul piano globale, di una verità obiettivamente distante da quella che ispira il nostro documento.
Intrecciandosi tra loro, i tre rilievi critici indicano, infatti, una prospettiva di azione molto diversa dalla nostra. Per alcuni, bisognerebbe far perno sul lavoro di tessitura unitaria delle soggettività politiche (o anche politico-sindacali o politico-culturali) disponibili ad una più generale alternativa di società, sull’assunto che comunque il “partito” (comunista o socialista rivoluzionario) venga prima della mobilitazione ed è condizione indispensabile perché essa ci sia davvero; per altri, bisognerebbe incentrare tutto sulla pressione della opinione pubblica, in forma di denuncia delle cose che non vanno e di interlocuzione con le strutture politiche e sindacali disponibili a tradurre le denunce in iniziativa parlamentare e istituzionale; per altri ancora, dovremmo soprattutto impegnarci – come cittadinanza attiva, oltre che politica, sindacale e, culturale – nella specifica lotta contro il covid19, guadagnando, in questa attenzione e partecipazione, la credibilità necessaria per poi ragionare dell’insieme delle cose.
In poche parole, ci viene detto che: a) sbagliamo a porre le questioni sociali, ora che il nostro Paese, come tutti gli altri Paesi, è impegnato nella difficile battaglia contro il covid19; b) sbagliamo a invitare all’impegno attivo, perché non teniamo in debito conto l’oggettiva mancanza di forza politica e sociale per costruire una prospettiva “di attacco”; c) sbagliamo a parlare solo di obiettivi vertenziali, perché non capiamo che il nodo vero risiede nella attuale debolezza organizzativa del soggetto politico, o politico-sindacale, attestato in una collocazione di opposizione alle formazioni politiche presenti in parlamento e alla loro cultura unitariamente liberista.
Proverò, nei limiti di un articolo, a rispondere ordinatamente a ciascuna di tali obiezioni.
3) La prima obiezione – quella più pesante – noi la vediamo viziata da una lettura assai riduttiva della realtà. Non è vero che stiamo vivendo semplicemente un disastro sanitario. Il disastro è, tutto assieme, sanitario, ambientale, economico, sociale, culturale e politico.
Di più: quello che sta avvenendo non può essere considerato solamente come una sciagura all’interno del consueto scorrimento temporale degli accadimenti. Configura, invece, una linea di frattura storica, un salto d’epoca, un nuovo stadio della modernità.
Si tratta di una più complessiva trasformazione economica, sociale, politica e culturale, già in incubazione da tempo, almeno dalla crisi economica del 2008 e dalla ripresa del multipolarismo a scala internazionale. È una trasformazione che si collega al progressivo declino dell’assetto liberista costruito negli ultimi decenni del XX secolo come risposta di sistema al primo shock petrolifero (1973) e al venir meno della equiparazione del dollaro con l’oro (è del 1971 il ritiro USA dagli accordi di Bretton Woods); e che parallelamente si collega al diffuso decadimento degli istituti parlamentari a favore degli esecutivi e dei governi, fino ad arrivare, nella grande maggioranza dei Paesi, a istituzioni democratiche sul piano formale e autoritarie sul piano sostanziale. Un qualcosa che da più parti già si comincia a indicare col termine ‘democratura’.
In sostanza, siamo alle prese con una concreta tragedia, che ha fatto milioni di vittime in un anno; e che però non è solo questo. Quello che abbiamo di fronte è anche una modifica gigantesca dell’insieme delle relazioni sociali (non è solo per improprietà di linguaggio che l’attuale distanziamento fisico viene indicato come distanziamento sociale: perché è davvero la socialità tradizionale la prima grande vittima di questo passaggio storico).
D’altra parte, diviene sempre più chiara – lo stiamo vedendo persino nella vicenda dei vaccini – la ruvida messa in discussione della libera circolazione di uomini, cose e denari; così come è evidente il ridisegnarsi della geopolitica del mondo, con poli plurimi, ciascuno contrapposto agli altri. E forse non sbaglia chi parla di ‘nuova guerra fredda’. Solo che, a differenza della guerra fredda del XX secolo, si tratta stavolta di una guerra fredda ingarbugliata nelle forme e nei contenuti, con molti protagonisti che la costruiscono e la giocano in proprio.
In questo scenario, ciò che gli economisti guardano preoccupati di giorno in giorno, ovvero la caduta del Pil, dei volumi di produzione e di ricchezza, si sta traducendo in una crescita abnorme delle povertà e delle sofferenze per chi sta sotto nelle gerarchie sociali. Per dirla con i termini della “Teoria della totalizzazione” (Edizioni Melagrana 2011, cui rinvio il lettore), lo spreco assoluto degli esseri umani e la marcescenza di luoghi, comunità e vita pubblica sono diventati un elemento costitutivo della realtà.
Non ha perciò senso, per come la vediamo noi, la logica del ‘prima’ e del ‘poi’, delle vaccinazioni immediate e del rinvio delle questioni sociali. Rivendichiamo, invece, l’opportunità di indicare già oggi le questioni di ordine sociale. Anche perché, molto banalmente, abbiamo il problema di contrastare per tempo il senso comune egoistico dello ‘scampato pericolo’. E intendo con ciò la logica comprensibile del “scordiamoci il passato”, l’effetto deleterio che l’uscita parziale dalla pandemia facilmente poterebbe con sé.
Credo che tutti ricordiamo la scena memorabile del secondo atto di “Napoli milionaria”, con Gennaro Jovane che a tavola cerca di spiegare che no, la guerra non era finita: perché non era stata una guerra come le altre e bisognava comprenderla bene. Ma, in quella Napoli ubriaca di felicità per essersi lasciata alle spalle i giorni del terrore, i commensali non avevano orecchie per sentire; e tutto volevano, fuorché comprendere ciò che avevano vissuto…
4) Per come la vediamo noi, anche la seconda obiezione – quella delle forze “che non ci sono” – sottovaluta il passaggio storico che stiamo vivendo. Sottovaluta, in particolare, i suoi effetti nella coscienza delle persone, lo stravolgimento del senso comune che nell’immediato comporta. Chi ci critica ragiona, in effetti, come se gli assetti di fondo della società, delle relazioni internazionali e, soprattutto, dei rapporti tra le persone non siano stati realmente toccati dalle vicende di quest’anno (e, più in generale, dagli scenari nuovi maturati da una dozzina d’anni a questa parte).
Non si sofferma, per dirla in breve, sul fatto che lo smarrimento delle persone ha sempre due caratteristiche e non una sola. È certamente smarrimento e confusione; ma è anche, contemporaneamente, distacco obiettivo dai paradigmi dell’ordine definito che si ha davanti. Sul piano delle soggettività sociali e sul piano delle dinamiche culturali e morali, la situazione è perciò realmente fluida.
È evidente, d’altronde, come le stesse classi dirigenti tradizionali siano state in obiettiva confusione già prima della pandemia. Per restare alle piccole vicende italiane: come lo si spiega che un movimento come i Cinque Stelle, venuto su per vie del tutto estranee all’establishment, divenga nel giro di pochi anni il soggetto più votato? e come si spiega il crollo così straordinario della tradizionale concertazione sindacale nei luoghi di lavoro? e come si spiega la rapidità delle ascese e dei declini di figure presuntamente carismatiche? E infine: come si spiega che saltino ripetutamente le tradizionali distinzioni ordinatrici del quadro politico tra destra, centro e sinistra, con le loro molte gradazioni? Davvero basterà rifugiarsi dietro l’affermazione che tutti sono interscambiabili perché hanno lo stesso quadro sociale di riferimento?
Una siffatta affermazione ha certamente senso sul piano delle epoche storiche. Ma ha molto meno senso sul piano degli specifici accadimenti politici. Così, si potrà sostenere che i Bruto e i Cassio fossero interscambiabili con i Cesare e gli Antonio, solo guardando in blocco, come una unica cosa, i novecento e passa anni della storia di Roma. Solo concludendo, alla fin fine, che tutti e quattro trovavano giusta e inevitabile la società schiavistica. E però quei personaggi si combatterono anche duramente tra loro. Fino alla morte…
In parole più chiare: solamente di notte, o di fronte all’eternità, possiamo affermare che le vacche hanno lo stesso colore.
Va compreso, perciò, il carattere fluido della situazione. E parimenti va compreso come le energie impegnate sul piano della solidarietà siano state davvero enormi in questa stessa pandemia. Fluidità e confusione degli assetti, da un lato; attivazione di energie sul terreno della solidarietà e della condivisione dei destini, dall’altro. Il combinato disposto di questi due elementi ci dice che la debolezza risiede più nelle classi dirigenti. In coloro, cioè, che non riescono ad andare oltre l’orizzonte dell’ancien règime.
Chi invece si mobilita per portare in giro i pacchi alimentari, o che costruisce pratiche di accoglienza per i migranti e i settori marginali della società, o che si impegna sul serio sulla parola d’ordine “nessuno deve essere lasciato indietro”, è già, di fatto, un agente positivo del possibile cambiamento degli assetti sociali. Soprattutto se mantiene fermo il “nessuno deve essere lasciato indietro” anche adesso, dopo un anno. Contro coloro che ricominciano ad accarezzare il velenoso sempreverde del “mors tua, vita mea”.
5) La terza obiezione la troviamo davvero poco puntuale, perché evita di misurarsi con la questione da noi posta; che è di costruire, nei limiti del possibile, una vertenza complessiva su cinque specifici obiettivi: potenziamento di sanità, ricerca, istruzione e trasporti; risanamento ambientale; riduzione a 30 ore della settimana lavorativa; aumento quantitativo del reddito di cittadinanza e della cassa integrazione; credito agevolato alle piccole imprese e agli artigiani.
Chi ci critica, trasferisce semplicemente questi temi di opposizione e vertenza sulle questioni che attengono alla costruzione della soggettività politica. Ma c’è di più: siccome tale soggettività, qui in Italia, o manca o è comunque inadeguata, la proposta diventa essenzialmente la “costruzione del Partito”: proprio perché lo si considera “preliminare’ (o ‘contestuale’, che non cambia i termini) per qualsivoglia azione. L’idea di fondo è che senza un partito politico organizzato, e specificamente senza l’iniziativa strutturata delle attuali formazioni politiche della sinistra di alternativa, non sia possibile muoversi.
Qui si apre, con tutta evidenza, un problema non da poco. Che è il seguente: perché le attuali piccole forze della sinistra di alternativa non riescono a dar vita a percorsi unitari neppure sulla questione, piuttosto semplice, dell’opposizione al governo Draghi? E perché non convergono neppure su tre/quattro obiettivi da perseguire come vertenza generale? È solo per l’insipienza dei gruppi dirigenti? O piuttosto dipende dal fatto che tutto, anche l’opposizione e le vertenze, viene subito ricondotto, quasi per riflesso condizionato, alla questione del ‘partito’, del polo politico organizzato?
I classici della tradizione comunista, in particolare Lenin, hanno effettivamente sostenuto che senza un partito rivoluzionario non può esserci rivoluzione. Altri, dagli zapatisti ai combattenti curdi del Rojava, sostengono cose diverse.
Non è questa, ovviamente, la sede per parlarne, per porre il problema della necessaria ridefinizione di molte delle parole della storia socialista e comunista: “avanguardia”, “masse”, “partito”, “politica”, “strategia”, “tattica” eccetera. Sono parole che oggi, nell’epoca della comunicazione globale e del protagonismo sociale diffuso delle persone, non possono più pronunciarsi con la stessa cadenza di 100 o anche 50 anni fa.
In ogni caso, detto con franchezza, pensare che senza partito non si possa neppure costruire una vertenza o dar vita a dinamiche di opposizione, ci pare proprio una esagerazione.
6) In conclusione, noi manteniamo la nostra proposta, invitando tutte e tutti a leggere il documento ( https://www.lefrivista.it/2021/03/13/per-una-svolta-politica-e-sociale/ ).
E a sottoscriverlo, nel caso lo si condivida.