Forse questo scoppio della terra, questo trafugare le sartie
di una nave alla deriva, forse gli uomidonne vanno
gelosi delle sconfitte, colti dal lampo della notte che non
se l’aspettavano, e le sirene spiegate, spietate, dai telegiornali
vomitano bollettini di guerra, vaccini inconcludenti, la conta
quotidiana dei decessi come una lama controvento.
forse la terra ha cicli autonomi, bastardi, derisioni di
lunga durata, transazioni al ribasso, decadenze. Forse
accumula sedimenti ossuti con scudisciate
di silenzi, mastica chiodi e sangue, si prepara
alla deflagrazione, alla vendetta. La terra appunto,
questa passione involontaria, leggerezza e ossessione.
Le mosche traslocano secoli, scaricano punti neri
sull’imprudenza dei sogni, chi salta i fuochi dei fachiri
ha le ore contate, minaccia di tornare il signore rossiccio
d’America. Forse c’è chi guarisce, gli alberi verdi di nuovo
trafiggono la polvere, e il gelo degli anni sarà un peso
leggero, qualcuno riderà dell’idiozia permanente.
Il dialogo tra noi filtra parole come spuma di vento,
forse batteranno autostrade ingannate, fileranno
flashback e tosse, scanseranno i poveri di spirito.
La visione del poi è una lastra incandescente, di nuovo
frullano magie dai corpi, Parmenide ride e ammonisce,
galleggia dentro questo sguardo di cemento stanco.
Forse tutto rinasce, qui o altrove. Non importa.
(Inedito. Roma, 21 gennaio 2021)