1) La recente serie televisiva su San Patrignano ha riacceso il dibattito sulle droghe: un tema che in questo Paese fa ancora molto male. Difficilmente si riesce ad aprire un dibattito equilibrato, capace di maneggiare la contraddizione, assegnando un’identità (ed una conseguente politica) non alla cosa in sé, che è un’astrazione, ma alla cosa nelle sue relazioni con l’Altro da sé.
Rifiutando sì la speculazione sulle droghe, la criminalizzazione del tossico. Ma al tempo stesso esercitando una critica sul consumatore, sulla sua falsità, sulla perdita dell’autenticità nelle relazioni, sulla visione strumentale del mondo. E ammettendo la differenza sostanziale della gravità degli effetti di alcune droghe rispetto alle altre, ma riconoscendo la pericolosità insita in TUTTE le droghe sui comportamenti dell’essere umano.
2) Le droghe sono una spina nel fianco anche nella tradizione di sinistra, almeno quella più recente. I centri sociali, ad esempio, sono nati anche nel segno del contrasto alla diffusione dell’eroina, eppure molte esperienze sono state letteralmente distrutte dal consumo di droghe.
Il rifiuto della criminalizzazione del tossico e del perbenismo, troppo spesso si sono accompagnate ad una tolleranza del consumo, rivendicata a partire dagli stessi militanti anch’essa come una posizione politica. Una posizione politica che però ha il difetto di non distinguere più il generico “essere contro” la società dal movimento reale del suo superamento. Per essere cosa seria, il superamento del capitalismo non può chiudersi in una bolla di antagonismo e rifiuto, ma deve percorrere il reale e le sue contraddizioni.
Fa male dirlo, ma diversi centri sociali, a dispetto delle intenzioni, hanno spesso fatto parte del problema delle droghe, e non della soluzione.
3) Ciò non toglie che il panorama dell’antagonismo politico di sinistra sia stato, e sia ancora nel suo insieme, non solo molto diversificato, ma anche ricco di attive iniziative di contrasto.
Ricordo, ad esempio, la positiva campagna di Rifondazione Comunista contro la Legge Fini sulle droghe: “Giusto o sbagliato, non può essere reato”. Ci sono, inoltre, percorsi di autodeterminazione sociale in cui l’organizzazione che li ha attivati ha imposto una limitazione di droghe. Porto due esempi, uno di rilevanza internazionale e l’altro “nostrano”, più modesto, ma credo, al riguardo, altrettanto significativo.
Il primo è costituito dai territori occupati dall’EZLN, dove è vietato il consumo anche di marijuana e di alcolici. Il secondo è il Movimento dei Migranti e Rifugiati di Caserta, nel quale lo Staff del movimento vieta il consumo di qualsivoglia droga e di alcolici nelle manifestazioni di piazza.
Sono due contesti decisamente diversi per importanza, accomunati però dal costruire un NOI nel quale la pretesa di libertà di scelta anche a discapito dell’organizzazione collettiva viene seccamente subordinata (il caso degli zapatisti) alla gestione di un territorio, ovvero (il caso del canapificio di Caserta) al raggiungimento di un obiettivo specifico.
4) Più in generale, la sinistra più coerente, o semplicemente illuminata, ha teorizzato e praticato cose sacrosante sull’argomento: l’importanza del contesto, la creazione di legami umani solidali, autentici, improntati al cambiamento della società e non all’autodistruzione, la costruzione del senso a partire dall’esistenza. Non poca roba.
Ma resta che, a sinistra, non abbiamo sentito la necessità di impostare un metodo terapeutico che aiuti una persona ad uscire dalla dipendenza, col coinvolgimento della famiglia, della cerchia di amici e di quanti riescono a svolgere ancora un ruolo nella vita del tossicodipendente. È un risvolto dell’errore cruciale che abbiamo commesso nel secolo scorso, concentrandoci sul costruire la società nuova e pensando che l’“uomo nuovo” sarebbe uscito quasi meccanicamente dalle mutate condizioni sociali. Ci siamo sbagliati, clamorosamente.
5) E così, dove non ci siamo sporcati le mani fino in fondo, il mondo cattolico ha sopperito.
San Patrignano è una delle sue risposte, sicuramente tra le più deprecabili per la sua storia e per la sua impostazione autoritaria da padre-padrone. Un padre-padrone che, ammantandosi del “fin di bene”, ha potuto permettersi di affogare nel fango la dignità dei tossicodipendenti. Ma intanto, il vuoto “a sinistra” ha lasciato terreno ad esperienze del genere che, mentre arrivavano ad incatenare coloro che avrebbero dovuto assistere, potevano anche dire – e a ragione – che intanto quella vita non è finita in un’overdose.
Ecco le contraddizioni.
È giusto criticare San Patrignano, così come altre esperienze meno note che, prive di metodologie altrettanto violente e degradanti, incentrano il recupero del tossicodipendente sulla scelta di fede, sul riavvicinamento dell’uomo a Dio, misurando l’intensità della dipendenza dalla distanza tra essi. È una premessa difficilmente condivisibile per chi, come il sottoscritto, propugna il valore imprescindibile dell’autonomia umana dal divino.
Ma resta un dato di fatto inoppugnabile, che vale sempre: preferirei vedere un amico, un fratello, chiunque, in un percorso di recupero poco condivisibile, invece che morto con un ago nel braccio in una campagna.
Può essere discutibile il metodo per salvare una vita, ma quella resta una vita salva. Costa carissimo ammetterlo ma, su questo, perfino i difensori di San Patrignano avrebbero ragione.
6) Fortunatamente la tradizione cattolica ha creato anche qualcosa di diametralmente opposto, come il Progetto Uomo, partorito soprattutto grazie al lavoro illuminato di Don Mario Picchi, la cui Filosofia è portatrice di un Umanesimo profondo e radicale.
In quel contesto, l’uomo è posto al centro della sua storia e del suo destino, e la Comunità rappresenta un percorso di conoscenza del Sé attraverso il duro e spietato specchio dell’Altro: come presa di consapevolezza dei propri limiti e punti di forza, e come acquisizione di strumenti che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto dopo l’uscita dalla Comunità, possono aiutare la persona a sostenere una scelta positiva di vita, di onestà intellettuale, di coraggio.
7) Per superare i risvolti dei nostri errori del Novecento, dobbiamo metterci molta umiltà come sinistra di alternativa. E molto ragionamento, molto realismo. E sapendo che ci mancano, obiettivamente, diversi pezzi.
Possiamo cercarli in chi ha sperimentato.
Per esempio, a proposito delle tossicodipendenze, in chi ha configurato la ricostruzione dell’uomo in pezzi all’interno di un gruppo. Dove l’IO rinasce e dove il NOI si crea. E dove si abbandonano le proiezioni di sé come giganti capaci di vincere ogni cosa, oppure come nani, paurosi al minimo rumore.
Insomma, come uomini parte di un tutto, con il nostro contributo da offrire.
8) Non le abbiamo seminate noi, ma possono forse diventare anche le nostre radici.
FILOSOFIA DEL PROGETTO UOMO
Siamo qui
perché non un altro posto dove nasconderci da noi stessi.
Fino a quando una persona non confronta se stessa
negli occhi e nei cuori degli altri, scappa.
Fino a quando non permette loro di condividere i suoi segreti
non ha scampo da essi.
Timorosa di essere conosciuta,
non può conoscere se stessa né gli altri.
Sarà sola.
Dove altro, se non nei nostri punti comuni,
possiamo trovare un tale specchio?
Qui, alla fine, una persona può manifestarsi chiaramente a se stessa,
non come il gigante dei suoi sogni,
né il nano delle sue paure
ma come un Uomo, parte di un tutto, con il suo contributo da offrire.
In questo terreno possiamo mettere radici e crescere,
non più soli, come nella morte,
ma vivi a noi stessi e agli altri.