Recovery Plan o Piano da ricovero?

1) Le economie di tutti i Paesi del mondo sono state negativamente impattate dal Coronavirus. In Europa sono state adottate sostanzialmente due misure per far fronte alla crisi:

1) il PEPP: Pandemic Emergency Purchase Program. Per effetto di esso, sono stati acquistati dalla Banca Centrale europea titoli pubblici e privati per un totale di 1.850 miliardi complessivi.

2) il Next Generation EU, chiamato impropriamente Recovery Fund. È un piano da 750 miliardi con cui, per la prima volta, i Paesi dell’Unione hanno deciso di unificare il debito. Il Next Generation EU viene erroneamente definito “Fondo”, in quanto i fondi Ue vengono in genere utilizzati per finanziare determinati progetti (ad esempio, per costruire un ponte). In questo caso l’erogazione delle somme di denaro è subordinata anche al raggiungimento di determinati obiettivi (ad esempio, grazie alla costruzione di un ponte si contribuisce allo sviluppo economico di una determinata area geografica).

3) il Recovery Plan. È il piano nazionale di riforme varato da ogni Paese, che individua il modo in cui spenderanno i fondi del Recovery Fund e gli obiettivi che si intendono raggiungere.

Sì, ma di quanti soldi parliamo?

2) Premetto che io non sono molto bravo con i numeri, per cui è probabile che non ci azzecco. E premetto che non sono un’economista.

Il Recovery Fund assegna all’Italia circa 196,5 miliardi di euro; il Governo ha predisposto nel Recovery Plan un programma per 209,9 miliardi.

Sono tutte risorse aggiuntive quelle del programma?

A quanto pare no, perché circa 87,5 miliardi riguardano spese già deliberate. Risultato: non si ragiona sull’arrivo di 209,9 miliardi, ma solo di 122,4 mld(di cui circa 81 senza interessi) nell’arco di un periodo di sei anni (2021-2026).

Si tratta dunque di 20 miliardi all’anno che sono soggetti alle “Raccomandazioni Ue specifiche per paese”, ovvero le cosiddette “riforme strutturali”, costantemente ricordate come adempimenti obbligatori per poter ottenere i fondi assegnati.

Mi piacerebbe approfondire il significato che la parola “riforma” ha nel mondo dei neoliberisti, ma lo farò in un altro momento. Per il momento mi limito a segnalare che non siamo in presenza di un mutamento della impostazione economica e sociale dell’Unione europea, bensì in un momento in cui i vincoli neoliberisti vengono resi meno stretti al fine di poter gestire gli effetti della pandemia e rilanciare l’economia. Appena l’emergenza sarà stata superata, i vecchi vincoli potrebbero riprendere tranquillamente a strangolare le popolazioni per ribadire il primato dell’economia sull’uomo e sulla natura.

3) Io, non lo nego, ho parecchie perplessità sul Recovery Plan, legate soprattutto al fatto che mi appare comunque espressione della matrice neoliberista posta alla base del sistema economico e sociale che imperversa nei paesi UE.

Questa matrice appiattisce tutto riducendo ogni cosa a mercato, subordinando ogni esigenza all’economia e riportando ogni dinamica umana alla dinamica costo-guadagno, incluso ambiti che ne dovrebbero essere esclusi, quali ad esempio la cultura, la giustizia, la salute.

Questa logica non premia le sentenze che fanno giustizia, ma i giudici che smaltiscono lavoro, magari decidendo in maniera frettolosa; non viene premiato l’ospedale che guarisce, ma quello che abbatte i costi. La cultura, poi, a che serve?

4) Il Recovery Plan, come detto, è un documento che dovrebbe spiegare come saranno spesi i soldi del Recovery Fund, che in realtà si chiama “Next generation EU” (ma sarebbe stato più corretto chiamarlo “Old Generation EU” perché non tutela affatto la prossima generazione, come vedremo).

La mia perplessità di fondo legata al Recovery Plan è che esso porta avanti una logica che non è in discontinuità con il problema.

La pandemia non è una maledizione piovuta dall’alto. Il Covid19 rientra nell’ambito delle malattie trasmesse dagli animali all’uomo (le zoonosi), che, come è stato osservato da autorevoli autori, sono direttamente collegate ai comportamenti predatori dell’uomo, in particolare al commercio di animali selvatici ed alla distruzione degli ecosistemi naturali.

Questa distruzione (come nel caso della deforestazione per consentire nuove edificazioni, nuovi pascoli e produzione di carta e legname) rompe gli equilibri biologici e annulla ogni tipo di barriera naturale, cancellando parte di quelle specie animali e vegetali che fungevano da argine tra gli uomini ed i virus.

Le zoonosi sono dunque un prodotto del sistema economico predatorio che sta distruggendo la natura.

Se a gestire questi fondi saranno soggetti ed istituzioni che sono intrisi di neoliberismo, se questi fondi saranno utilizzati con le logiche ed i paradigmi neoliberisti, allora attraverso questi fondi non si potrà dare una vera svolta, ma semplicemente si rafforzerà il problema: il problema è il sistema economico predatorio neoliberista.

5) Questo sistema è divenuto talmente potente che chi lotta per poterlo modificare o abbattere viene visto come un ingenuo, perché l’economia vince sempre, perché l’economia è tutto. Il che, purtroppo, è diventato amaramente vero.

Una volta le più gravi violazioni dei diritti umani venivano perpetrate dagli Stati per effetto di azioni dettate da ideologie politiche (pensate ai crimini del nazismo, del fascismo, dello stalinismo) o religiose (le crociate e lo sterminio degli indios). Oggi, invece, una cospicua parte delle violazioni dei diritti umani nel mondo viene perpetrata dalle imprese, spesso attraverso disastri ambientali, durante il “normale” esercizio della loro attività economica.

Le massicce violazioni dei diritti umani, così come le zoonosi, sono dunque entrambe il prodotto di un sistema economico predatorio.

Da uno sforzo economico senza precedenti, come quello messo in campo dall’UE, ci si aspetterebbe anche la correzione della impostazione di fondo (sistema economico predatorio), visto che è la causa del problema (Covid-19); ed invece no.

6) Tra i vari settori che beneficeranno del Recovery Plan vi è anche la “Rivoluzione verde e transizione ecologica” (a cui dovrebbero essere destinati 68,90 miliardi).

Andando però a guardare materialmente come questi soldi dovranno essere spesi, è evidente che il Recovery Plan è ancora figlio della cultura neoliberista, perché è strutturato sul convincimento che il benessere della società si fonda sul benessere delle imprese e che questo può essere assicurato dalla crescita economica attraverso la competitività e la concorrenza.

Competitività e concorrenza sono elementi che possono sembrare di per sé ottimi; ma guada caso fino ad ora hanno portato al crescente indebitamento degli Stati ed all’incredibile concentrazione di ricchezze nelle mani di poche persone. La concorrenza e la competitività del mercato hanno prodotto l’oligopolio della gestione delle ricchezze. E ancora vengono propinate come il mantra risolutivo di ogni problema!

Di fatto il Recovery Plan prova a rivitalizzare il modello economico-sociale capitalista attraverso investimenti in alcuni settori, tra cui innovazione digitale e ambiente. In altre parole, apre una nuova fase del capitalismo: un capitalismo digitale e verde.

7) Non c’è, in effetti, un reale cambiamento: perché l’ambiente continua ad essere visto come un oggetto, qualcosa che va sfruttato, non come un soggetto portatore di diritti autonomi rispetto agli esseri umani.

Nel Recovery Plan l’ambiente è considerato una opportunità per l’economia: l’economia è il macro-contenitore dentro cui viene messo l’ambiente, che viene considerato un contenuto fra tanti altri. Un contenuto che deve in ogni caso soggiacere alle regole ed alle esigenze del contenitore.

Questo è il vero vulnus del Recovery Plan.

La prospettiva dovrebbe essere rovesciata: l’ambiente dovrebbe essere il contenitore e l’economia uno dei vari contenuti; non è il primo che deve adeguarsi alla seconda, ma è l’economia che dovrebbe essere strutturata tenendo presente che vi sono inderogabili limiti “ambientali” alla stessa crescita economica. Limiti che, se vengono travalicati, portano alla zoonosi, al cambiamento climatico, ai dissesti idrogeologici e via dicendo.

8) A ben vedere, il Recovery Plan prevede tanti soldi senza alcuna visione profondamente ambientalista ed ecologica. Basti pensare che:

  • non viene promossa una politica climatica in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi;
  • non vengono finanziati piani ed interventi di adattamento climatico nei territori vulnerabili;
  • non si abbandonano i sussidi ai combustibili fossili (che costano agli italiani circa 35 miliardi di euro e che lo stesso ministero dell’Ambiente qualifica come “sussidi ambientalmente dannosi”);
  • non viene individuata come priorità il finanziamento dei settori di ricerca e sviluppo nel campo delle tecnologie sostenibili;
  • non si investe nelle soluzioni basate sulla natura e sul riconoscimento dei diritti della natura;
  • non viene rafforzato il modello agro-ecologico, ovvero un modello agricolo che non abbia impatti climatici devastanti (a differenza degli allevamenti e delle colture intensive) e che valorizzi le risorse locali (filiera corta);
  • non c’è un piano per una riconversione industriale che vada nella direzione della decarbonizzazione veloce;
  • non c’è alcuna visione per rafforzare la mobilità sostenibile;
  • non è adottata alcuna misura per impedire l’importazione di prodotti responsabili della deforestazione (quali la carne brasiliana, l’avocado messicano, etc.);
  • non si intravedono interventi per implementare l’efficienza energetica relativamente all’edilizia pubblica (scuole, ospedali, uffici pubblici in genere) ed all’edilizia privata;

9) Insomma, il Recovery Plan somiglia molto alle vecchie “cure” neoliberiste. Porterà nel breve termine qualche miglioramento, ma è destinato a rinforzare il primato dell’economia sulla natura.

Ed è proprio in quel primato che si annida la vera malattia. E la cura proposta non fa altro che alimentarla.

Anche perché a gestire il Piano saranno le istituzioni italiane sotto la guida di quelle europee, tutte ancora intrise e devote al sistema economico neoliberista che sta portando al collasso del pianeta.

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2 commenti

  1. […] è quello ufficiale del Recovery Plan. Un piano da ricovero, come ho avuto modo di scrivere su LEF (https://www.lefrivista.it/2021/02/06/recovery-plan-o-piano-da-ricovero/), nel quale vengono utilizzati i seguenti […]

  2. […] è quello ufficiale del Recovery Plan. Un piano da ricovero, come ho avuto modo di scrivere su LEF (https://www.lefrivista.it/2021/02/06/recovery-plan-o-piano-da-ricovero/), nel quale vengono utilizzati i seguenti […]

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