Il 6 gennaio 2021 si sono esplicitate, a Washington D.C., alcune delle faglie di tensione che caratterizzano la nostra attuale congiuntura storica: dalla crisi pandemica (che è insieme crisi di leadership, di organizzazione sociale, scientifica ed economica) alla crisi di legittimità geopolitica degli Stati Uniti, fino alla crisi delle democrazie rappresentative di stampo novecentesco. Si tratta, con tutta evidenza, di argomenti complessi, che richiederebbero ognuno un approfondimento a se; inoltre, la loro natura in fieri necessita di cautela interpretativa, osservazione circostanziata e discussione a più voci.
Tuttavia, c’è anche ‘qualcosa’ di sostanzialmente nuovo nell’assalto al Congresso americano ad opera di alcune centinaia di seguaci (armati) del presidente uscente Donald Trump. ‘Qualcosa’ che si è palesato in piena luce attraverso le immagini e i video diffusi dalla stampa di tutto il mondo, emergendo da una coltre oscura e dimenticata. Non fa molta differenza identificarlo in Jake Angeli, l’uomo dal copricapo con le corna di bisonte e i bicipiti in bella mostra, o in Ashli Babbit, la veterana dell’aviazione uccisa da un colpo alla testa, o ancora in Richard Barnett, il tizio soddisfatto che si scattava dei selfie poggiando i piedi sulla scrivania di Nancy Pelosi. Il ‘qualcosa’ cui facevo riferimento percorre questi e altri volti, affonda le sue radici nel web – spesso nel dark web – e irrompe nella massima sede della democrazia americana con le pistole in una mano e i cellulari nell’altra.
Mascherati da Batman, con le barbe da redneck e i vestiti da zio Sam, improbabili, mestamente “folcloristici” mentre agitano bandiere sudiste e cartelli di QAnon, vecchi vessilli a stelle e strisce (quando le stelle erano meno di venti) e gigantografie di Trump atteggiato a supereroe: un variegato popolo che continuiamo a chiamare “negazionista” solo per pigra comodità d’analisi. In realtà, si tratta di qualcosa d’altro, qualcosa di più: è la classe media bianca impoverita dagli anni di crisi economica e sociale, la cui frustrazione mista a paura è diventata ormai una seconda pelle, che vive moltissimo sulla rete (nonostante abbia in media dai trent’anni in su) e che si è radicalizzata in maniera impressionante. È la classe media impoverita che usa le maniere forti su internet, nei forum, sui social, praticando lo shitstorm in maniera sistematica e aberrante. Chi sono i loro nemici? Difficile dirlo, forse anche per i soggetti stessi. Ormai la nuvola di fake news e di teorie auto-assertive che hanno costruito s’è fatta talmente spessa e totalizzante da avvilupparli senza tregua, al punto che è arduo scorgere cose ben definite al suo interno. Le loro risposte diventano tanto più semplicistiche quanto più assumono contorni di sinistra vaghezza.
Prendiamo due delle teorie principali che hanno mosso i ‘cuori’ nella giornata di Washington: la teoria delle elezioni rubate e la sempre presente negazione del Covid-19. Già mesi prima delle elezioni del 2020 Trump aveva cominciato a ripetere, in una specie di mantra ossessivo, che le elezioni erano a rischio brogli; affermazione tanto più paradossale in quanto a pronunciarla era il presidente in carica, plenipotenziario come pochi. Ma tanto è bastato ad instillare nei seguaci la certezza (perché qui non si tratta di dubbi di socratica memoria, ma di certezze granitiche) nella illegittimità delle elezioni, puntualmente denunciata dopo il 3 novembre. A nulla sono valsi i numerosi e infruttuosi riconteggi, o le ripetute smentite anche di parte repubblicana. Le elezioni sono state fraudolente, l’esisto è stato capovolto. Una delle menzogne più patenti della politica contemporanea (anche più delle armi di distruzione di massa in Iraq) è diventata senso comune in una parte d’America. La stessa parte attraversata dalla negazione del Covid-19, e che ha praticato a tal punto questa negazione da trasformarlo in un’emergenza sanitaria più grave, per numero di contagi e morti, rispetto a quella degli altri paesi, e ciò anche per i limiti strutturali della sanità privata americana.
Chi sono dunque i nemici? i democratici? Senza dubbio. Identificati però con l’establishment tout court e dipinti come dei mostri assetati di piccoli risparmiatori, liberal fino a diventare socialisti (Biden…), addirittura pedofili e omicidi (le farneticazioni QAnon, una teoria talmente sclerotica e paranoide da meritare studi psicanalitici piuttosto che sociologici o politici). Si tratta quindi di un nemico dai contorni così abnormi e insensati da diventare indefinito, e forse proprio per questo ancora più minaccioso. Se poi consideriamo la negazione della pandemia, ci si rende facilmente conto che la vecchia domanda “cui prodest?” diventa impossibile da porre con reale cognizione di causa: a chi giova la pandemia globale? alle aziende che perdono commesse o ai governi che diventano impopolari? Si dirà: alle case farmaceutiche, immaginando un fantomatico consorzio mondiale di biologi e affaristi che monopolizza la natura e i governi del globo in un sol colpo.
Ma è abbastanza inutile addentrarsi nel contenuto di questo marasma di asserzioni, frutto di rimasticature mal digerite e di una sottocultura da televisione anni Novanta. Quello che conta davvero è che questo ‘qualcosa’ è uscito dallo schermo per passare nella vita reale, dimostrando che il passo dall’incendiario da tastiera all’incendiario in carne ed ossa s’è fatto sempre più breve. Ed è una transizione che si trascina dietro la medesima dose di odio ipertrofico, di frustrazione incancrenita, di insofferenza per la complessità e, soprattutto, di violenza. La violenza virtuale che diventa violenza reale mantenendo le stesse caratteristiche di fondo, almeno per ora: indefinita negli obiettivi (molti sembravano davvero gironzolare senza meta nel Congresso, intenti solo a riprendere e a profanare il “tempio” della democrazia americana), imprevedibile negli esiti. Ne abbiamo avuto i primi assaggi con le ronde pro-Trump sguinzagliate nelle strade americane contro il Black Lives Matter, e prima ancora con gli attentati dei “cani sciolti” suprematisti e fanatici. Si tratta di una escalation, che dai meandri oscuri della rete e dei forum sta portando, lentamente, per gradi di crescente aggregazione e visibilità, al piano pubblico e all’attenzione generale.
Di fronte all’emersione di questa sorta di “moltitudine del web” c’è allora un primo problema da risolvere: quello della denominazione. Che è poi anche un tentativo di abbozzare una comprensione del fenomeno per cominciare a contrastarlo politicamente.
Ci troviamo alle prese, in fin dei conti, con una nuova genie di “reduci”, proprio come quelli che si riversarono in Europa negli anni Venti del Novecento. Reduci di una guerra economica che li ha maciullati, operai d’impresa che non sono riusciti a diventare operai del terziario; reduci di una società patriarcale, sessista e razzista che si sta modificando sotto i loro occhi impotenti; reduci dei suburbs, che da terra promessa di vita borghese si sono trasformati in sepolcri di neo-proletarizzazione; reduci di una società della conoscenza sempre più specialistica e complessa, che rende ormai obsoleti i diplomi e finanche le lauree conquistate a fatica. Una nuova classe politica li ha chiamati a raccolta, dando loro una parvenza di rappresentanza (non è certo la prima volta che un multimiliardario si proclama difensore della classe media impoverita), sotto un vessillo che tutto sommato potrebbe accumunarli davvero tutti: il sovranismo, cioè il richiamo ad una sovranità perduta o sedicente tale. Perché i sovranisti si sentono orfani di un benessere e di una “sovranità” che li vedeva signori, almeno in apparenza, ed ora li ha trasformati in gregari, o peggio.
Ecco, forse ci troviamo dinnanzi ad una prima – per quanto risibile e raffazzonata – emersione del potenziale violento ed eversivo del sovranismo. Un sovranismo globale, che negli Stati Uniti possiede le armi automatiche e le maschere pop, ma che potrebbe dotarsi di qualcosa del genere, e presto, anche qui da noi.