Machiavelli, la ragion di Stato e la polizia cristiana

Recensione a Borrelli G., Machiavelli, ragion di Stato, polizia cristiana. Genealogie 1, Napoli, Cronopio, 2017, pp. 307.

La crisi italiana affonda le proprie radici nel Cinquecento: è questa la tesi fondamentale che Gianfranco Borrelli espone nel suo saggio, Machiavelli, ragion di Stato, polizia cristiana. Genealogie 1 (Napoli, Cronopio, 2017, pp. 307). Il saggio ci presenta un’indagine storico-genealogica che punta a svelare la trama complessa degli antagonismi laceranti e irrisolti che hanno caratterizzato la storia della penisola, segnandone in maniera decisiva gli sviluppi successivi, a partire da quel laboratorio politico che si forma in Italia nel XVI secolo intorno a tre fuochi principali: il repubblicanesimo machiavelliano, la ragion di Stato e le ragioni della Chiesa. È infatti nella crisi del Rinascimento italiano che Borrelli rintraccia l’origine dei processi che hanno definito in modo specifico e particolare l’ingresso nella modernità della travagliata situazione italiana. Osservandola dal punto di vista d’oltralpe – ovvero dalla prospettiva della «civilizzazione statuale» – la situazione italiana appare infatti come un groviglio inestricabile di divisioni e conflitti insanabili, sui quali hanno gioco facile le ben più attrezzate monarchie europee, che proprio sul territorio italiano si contendono l’egemonia e mettono a valore la propria politica di potenza. Le difficoltà del processo di unificazione e civilizzazione statuale, la permanenza di antagonismi irriducibili tra gli Stati regionali e tra le differenti fazioni interne a ciascuno di questi, la necessità di far fronte al pericolo di diventare oggetto di conquista da parte delle potenze straniere, rappresentano la fondamentale congiuntura storica all’interno della quale vanno ricercate, secondo Borrelli, le origini di una crisi i cui effetti sono ancora ben presenti nella nostra contemporaneità. Si tratta allora di ricostruire le «genealogie concrete che sono alla radice delle configurazioni e dei percorsi particolari che assume nei tempi della modernità la storia della nostra penisola» (p. 18). È dunque all’interno di tale cornice storica che, secondo Borrelli, si assiste alla nascita e all’invenzione – tutta italiana – di alcuni dispositivi di «governo dei corpi e delle anime», che vengono messi in campo per tentare di arginare il declino della società di fronte all’avanzare sul piano europeo dei moderni assetti politici, sociali ed economici delle monarchie nazionali e assolute. A tali dispositivi di governo si legherebbero, secondo Borrelli, altrettanti processi di soggettivazione, sui quali gli autori italiani oggetto dell’indagine impiantano i diversi tentativi di realizzare una più adeguata configurazione politico-istituzionale per una realtà divisa e frammentata come quella italiana. Dagli intrecci tra dispositivi di governo e processi di soggettivazione, Borrelli ricostruisce con grande originalità una genealogia che procede lungo tre direttrici principali. La prima direttrice genealogica ha come punto di partenza e di riferimento il dispositivo repubblicano di Machiavelli e la sua teoria dei conflitti. In particolare, l’attenzione si concentra sulla nozione machiavelliana del vivere politico, inteso come un campo di sperimentazione per una soggettivazione cittadina, «libera e repubblicana», ossia per una «prassi civile» che accoglie la sfida della costruzione di una comunità politica fondata sull’autogoverno popolare.

Il fallimento del progetto repubblicano di Machiavelli apre alla seconda direttrice della ricerca genealogica, ovvero alla formulazione dei codici della ragion di Stato e della prudenza politica, che recuperano e trasformano lo specifico contributo di Machiavelli alla pratica dei conflitti traslandola sul piano di un’arte di governo che mira alla «conservazione politica» e che si consolida intorno alla figura del principe come perno di una politica prudenziale volta a produrre popolazioni obbedienti. Obiettivo del «laboratorio politico italiano della ragion di Stato», secondo Borrelli, è quello di «garantire permanenti legami tra funzione politica decisionale e processi di disciplinamento sociale con l’obiettivo di evitare ad ogni costo vuoti di comando» (p. 144). Oltre a «segnare con cura» (p. 144) le differenze tra la prospettiva machiavelliana del vivere politico e i codici della conservazione politica propri della ragion di Stato, Borrelli evidenzia con efficacia il contributo decisivo dei discorsi e delle pratiche italiane della «conservazione politica» all’elaborazione su scala europea di un’arte di polizia, da cui prende avvio il processo di «governamentalizzazione dello Stato» ben descritto da Michel Foucault nei suoi corsi al Collège de France (1977-1978).

Tuttavia, a differenza di Francia, Inghilterra e Germania, in Italia i discorsi e le pratiche della ragion di Stato non giungono fino al punto da produrre un effettivo Stato di polizia – nel significato che tale espressione assume nel XVII e nel XVIII secolo. Al contrario – e qui prende consistenza la terza direttrice del progetto genealogico di Borrelli – la specificità italiana si segnala per la nascita di un altro dispositivo di governo, impiantato su di una soggettivazione di tipo «pastorale», che trova nelle ragioni della Chiesa la propria matrice di origine. Non si tratta soltanto di un tentativo di ridare vigore al governo ecclesiastico in senso stretto, seguendo le indicazioni del Concilio di Trento anche contro la ragion di Stato – come nel caso di Roberto Bellarmino – ma anche di articolare sul terreno del governo pastorale una più attiva sinergia proprio con i codici della ragion di Stato: è qui che si situa la nascita di una specifica polizia cristiana, in cui l’obiettivo della conservazione politica si lega al sostegno della «devozione» e della «cura delle anime» che caratterizza il potere pastorale di matrice cattolica. È un punto particolarmente rilevante del progetto genealogico di Borrelli: la polizia ecclesiastica fornisce infatti, a partire dal XVIII secolo, un nuovo sostegno alle pratiche di governo della ragion di Stato, trovando consistenza in quelle che l’autore definisce come «eterotopie cattoliche», ovvero luoghi in cui si organizza la cura pastorale delle anime (i luoghi dell’assistenza ai poveri, le mense pubbliche, il soccorso sanitario e ospedaliero, ecc.). In questi casi – destinati ad esercitare un’influenza notevole nella storia italiana successiva – ci si trova di fronte a «un vincolo di obbedienza che risulta duplice, insieme religioso e civile, che non consente di liberare spontaneamente quelle energie utili all’incremento della ricchezza sociale; gli sviluppi autonomi della polizia civile vengono impediti, comunque ritardati» (p. 297). L’esperimento borbonico della Real Colonia di San Leucio a Caserta – con il quale si conclude il primo volume della ricerca di Borrelli (Genealogie 1) – è uno degli esempi concreti che illustrano tale sinergia.

L’insieme dei dispositivi di governo così evidenziati saranno destinati, secondo l’autore, a ritornare «puntualmente nei passaggi più delicati della storia d’Italia», a conferma di come il Rinascimento resti ancora, in tale storia, «un’eredità negata, comunque irrisolta» (p. 18).

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