Avvertenza.
Questo scritto nasce dall’esigenza di formare un gruppo di stagisti attraverso una pratica. Questa pratica si svolge presso la Casa Circondariale di Rebibbia N.C. ed il Centro Diurno di Villa Lais a Roma, ed opera mediante un laboratorio di canto corale insieme con volontari-collaboratori, detenuti, utenti del Centro Diurno di Villa Lais, semplici cittadini appassionati di musica.
-“Dieci ore di stage in tre giorni!!”-. Questa è la frase che in questi giorni mi risuona spesso; e così parto da un dizionario in cui il tirocinio formativo (in lingua francese: stage, pronunciato stàʒ) indica un’esperienza in azienda di durata molto variabile, allo scopo principale di apprendimento e formazione. Gli stagisti sono studenti delle scuole superiori, dell’università o persone che intendono reinserirsi in un’attività lavorativa, cambiare lavoro o comunque acquisire competenze professionali. Lo stage è innanzitutto classificato come un’esperienza che nel nostro caso specifico si struttura intorno ad una pratica, nello specifico una pratica “musicale”. Il risultato presupposto, e quindi presumo atteso, è l’acquisizione di competenze professionali.
E così interrogandomi sulla possibile trasmissione di un sapere non ancora scritto e avendo stabilito in ultimo il carattere di fatto sperimentale di questa pratica mi riprometto alfine di scrivere un preambolo. Una premessa. Provare a restringere il campo dell’azione commisurandolo alla durata e alla quantità degli incontri. Tuttavia, per ogni tentativo di scegliere un punto preciso da cui cominciare segue un devastante effetto-valanga dove si affastellano idee, pensieri, riflessioni. Ho cominciato a dubitare anche della possibilità di scrivere la mia “almeno” premessa.
“In fondo” -ho pensato- “un musicista deve suonare… tutt’al più dirigere un’esecuzione o un laboratorio vocale”. Eppure, sentivo che scrivere mi avrebbe permesso di non divagare. Mi avrebbe costretto a scegliere un punto da affrontare nell’azione dello stage.
Mentre mi arrovello e siedo come ogni autista siede nel traffico dell’Aurelia, d’incanto emerge dalla mia memoria di giovane liceale la regola delle cinque “W”. Chi, Cosa, Quando, Dove e Perché. Who, What, When, Where and Why, le cinque domande che meglio rappresentano il pragmatismo della cronaca giornalistica mi correvano incontro in segno di aiuto quando già annaspavo a pelo d’acqua, sicuro di sprofondare nel mare magnum dei pensatori smarriti.
-”Ecco il mio filo di Arianna. Il filo rosso che mi porterà, se non ad individuare un punto, almeno a disegnare un fumetto che riassuma la Cosa”. E così comincio con la mia griglia ben in mente. Ma più ci penso, più il fumetto diventa fumo, poi fumo denso, infine un incendio bruciante. Ci doveva essere qualcosa d’infiammabile a cui non avevo prestato attenzione.
Ora ad interrogarmi era proprio questo CHICOSAQUANDODOVEEPERCHè.
Un altro salvagente era pronto a soccorrermi: google. Grazie ai nostri motori di ricerca scopro che il CHICOSAQUANDODOVEEPERCHè nasce, nell’Ottocento statunitense, dalla necessità di essere concisi nell’utilizzo dei costosi messaggi telegrafici; più tardi si è imposto come metodo per l’attacco di un articolo di giornale. Nella prima riga bisogna essere certi di circostanziare in maniera dettagliata la notizia. Questa regola viene tutt’oggi adoperata sia per scrivere un articolo, sia per controllare la completezza dell’articolo che deve rispondere a tutte e cinque le domande. Da molti “pennaioli”, la regola delle cinque “W” è utilizzata per vincere l’impasse da “foglio bianco”: quella particolare vertigine che spesso accompagna l’inizio di uno scritto, dove infine la parola con il suo cesello di lettere delinea il limite di una figura prima solo immaginata.
Finalmente! Ormai fiero di avere completato la mia preparazione e rassicurato della validità del mio salvagente, fermamente ancorato alla solida boa della pratica giornalistica, decido di cominciare. Ma il mio occhio corre in fondo alla voce dell’enciclopedia dove un piccolo paragrafo accenna alla genesi di questo metodo. “In fondo non mi farà male” -penso! Dunque… il CHICOSAQUANDODOVEEPERCHè ha un suo precedente. Gli antichi filosofi ed oratori già prima articolarono un sistema di domande pre-organizzate da utilizzare durante le loro speculazioni. Questo sistema, come il già citato e ormai ben noto filo di Arianna, avrebbe accompagnato lo studioso attraverso gli infiniti percorsi che si aprono durante l’esplorazione di un tema.
Ermagora di Temno, Cicerone, Boezio e più tardi Giovanni di Salisbury discussero la validità e la qualità dei “loci argumentorum”. In campo religioso, allo scopo di attribuire la pena appropriata per ogni peccato, il XXI canone del Concilio Lateranense IV (1215) incoraggia i confessori ad indagare sia i peccati sia le circostanze che li hanno provocati.
Anche qui la forma a domanda divenne popolare presso tutti i confessionali e apparve in diverse varianti. Il Quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando, quantum, fu la griglia che Tommaso d’Aquino scelse nella sua Summa Theologiae per identificare la struttura di un’azione morale. Quest’elenco del tutto simile al ChiCosaQuandoDovePerché, si completa di ulteriori elementi, e precisamente il quantum (quanto), il quomodo (in che modo) ed il quibus auxiliis (con quali mezzi).
A questo punto prendo una pausa lunga. Comincio a dubitare delle cinque “W”. Mi sento tradito. Il mio salvagente si affloscia; e sparisce il mio apprezzamento per la pratica giornalistica. Il CHIssàccheCOSAQUANDODOVEepPERCHè mi diviene profondamente antipatico.
Ormai il ginepraio è fitto. Sparita l’acqua e l’illusione di affogare mi scopro pieno di graffi in mezzo ai rovi. -“E’ sicuramente colpa di quel dannato paragrafo finale!”- E mentre maledico internet ei suoi floridi motori di ricerca mi risiedo al tavolo. Sono sicuro che il nodo si scioglierà a partire dalle differenze tra le due griglie. Quella antica e quella moderna.
Il ginepraio, infatti, è apparso solo dopo aver letto dell’esistenza della griglia antica. Sono sicuro soprattutto che tra le due griglie c’è una differenza sostanziale che va ben al di là del numero di domande che le compongono. Scopro, infatti, un’altra differenza. Un profondo scarto emerge dall’economia di funzionamento che è sottesa ai due sistemi. Che fosse una indagine filosofica o un’orazione pubblica gli antichi non potevano telegrafare una “notizia”. La parola che Cicerone porge al suo uditorio aveva sicuramente un’urgenza. ma a correre era solo l’obbligo di riferirla tutta e certamente bene. La retorica e la filosofia, inoltre, prevedono un’amplificazione del discorso per lente e stratificate “esaurienze”, ma sono capaci di sprigionare metafore dense e brevi. Non pochi pensatori continuano ad esprimersi per aforismi.
Molti anni dopo l’età antica, Benjamin Franklin nel suo libro “Suggerimenti necessari per quanti desiderano diventare ricchi” scriveva questa regola: il tempo è denaro. Tutti sappiamo che peso ha assunto questo suggerimento. Oggi più che mai il desiderio è di dirla subito, senza costose parole. Ecco una bella differenza. Nel CHICOSAQUANDODOVEEPERCHè c’è un “sii telegrafico” a prescindere dal “quid”.
Una regola sta innanzitutto. Il CHICOSAQUANDODOVEEPERCHè non è un grimaldello per scardinare in seguito una notizia appesa prima. Viene prima di tutto. È un contenitore. Un contenitore sempre uguale e poco capiente. A questo punto le mie simpatie propendono tutte per il QuisQuidUbiQuibusAuxiliisCurQuomodoQuandoQuantum che sebbene assolutamente impronunciabile mi sembra un tipo più serio, e sono sicuro farà più al caso nostro.
Ormai un sole primaverile scalda la mia schiena di ricercatore. Alzo lo sguardo ed ecco apparire finalmente la punta scintillante di un forziere che rompe la morbida linea che separa il prato fiorito dal cielo azzurro. Sparisce la nube fumosa dell’incendio e ricomincio a camminare.
-”Comincerò dalle cinque W. Le voglio fare a fette! Ma poi anche le antiche griglie se ne accorgeranno!!”- Qualcosa dunque precede le cinque “W”.
In effetti nella prima riga di un articolo bisogna dare tutte le coordinate della notizia, ma allo stesso tempo catturare l’attenzione del lettore di modo che non cambi pagina e continui a leggere l’intero pezzo. Le cinque W hanno un’intenzione che si rivolge ad un immaginario lettore. Non un lettore qualunque ma, se le cose vanno bene, a tutti i lettori. A tuttigliimmaginarilettori.
I giornali si sa hanno una resa, uno scarto. Un resto che è fatto da chi, seppur previsto, non ha comprato le “notizie”. È implicito qui il desiderio dell’Editore di non avere grosse “rese” e quello del direttore di un giornale di catturare l’attenzione di sempre più lettori. Anche dell’attenzione degli scarti. L’attenzione quindi non è sempre disponibile. Una notizia infatti può vendere oppure no, deve farsi leggere, deve far venire una certa voglia che spinga poi i lettori ad acquistarla. Ma ciò non basta. Se la voglia di leggerla non viene poi appagata è difficile che tutti ricomprino quel giornale. La bravura di un direttore di giornale sta nel catturare ed appagare tuttigliimmaginarilettori.
Far venire la voglia e farla passare. Si ha spesso la sensazione che le notizie non siano la cosa più importante. L’attenzione del lettore sì. Le cinque W assomigliano sempre più ad una fabbrica dove insieme alle notizie si producono i lettori.
-”Presto! È l’ora degli antichi”.
La prima fetta riguarda l’antichità della griglia. Una griglia che viene dal mondo antico ma che sembra attuale. Continua a parlare fino ai nostri giorni. La griglia che ho scelto è quella di SanTommaso, un sant’uomo, e forse avrei potuto scegliere qualche altra variante. Ma si sa, i santi ne sanno una più del diavolo.
Eccoci dunque di fronte al QuisQuidUbiQuibusAuxiliisCurQuomodoQuandoQuantum. Il santo Gral del nostro scritto. La panacea di tutti i mali. La vera ragione che mi ha spinto a trattenermi per tutto questo tempo sulla tastiera di un computer anziché su quella di un pianoforte. Ancora differenze. Il Griglioantico (così detto d’ora in poi per ovvie ragioni) non presuppone tuttigliimmaginarilettori. Non è fatto per le testate giornalistiche o per le case editrici, il suo scopo, così come abbiamo già detto per il campo religioso, era quello di indagare. Un metodo di indagine quindi che all’attenzione per il contenitore preferisce quella per il contenuto.
Un’ultima differenza che non si esaurisce la possibilità di trovarne delle altre: il Griglioantico non si pre-occupa del lettore. Non è fatto per incuriosire, né per suscitare voglie, è esso stesso il frutto di un voler sapere che interroga attraverso la parola. Anche l’azione di un credente. Dove le cinque w creano un dispositivo che si autoattribuisce che cosa vuole un lettore, il Griglio ci lascia scorgere la punta di un forziere.
-“E’ vuoto!” esclamo, dando ancora un’ultima occhiata alla mia mano che poggia sul bordo del baulescoperto.
Epilogo.
Spero con questo scritto, sicuramente parziale ed incompleto, di aver lasciato il sapore giusto che renda merito a quello che, perdonate la metafora, sono la fame e gli aromi del nostro lavoro. Una ricetta che immagino per voi incompleta e che tuttavia si inscrive in quel filone tanto caro alle nonne che quando gli chiedi -”Quanta farina ci vuole?”- rispondono con quel sorriso beffardo – “Quanta se ne raccoglie!”