Sembrava ci fossimo abituati ai colpi di scena e alle giravolte dell‘ex premier Matteo Renzi ma, no, il fiorentino continua imperterrito a sorprenderci e a stupirci.
Lo scorso martedì (mi si passi il gioco di parole) ha salvato chi, invece, non vuole mai “salvare” (gli altri): il leader leghista Matteo Salvini.
Il primo verdetto sul caso Open Arms è stato, infatti, rimandato al mittente.
Di analisi critiche e considerazioni politico-ideologiche se ne potrebbero fare a centinaia; per il momento preoccupiamoci di ricostruire e rimettere a posto i tasselli dell’intera vicenda.
Matteo Salvini, all’epoca dei fatti ministro dell’Interno, tiene sotto scacco per diversi giorni, nell’agosto del 2019 l’imbarcazione Ong spagnola Open Arms con 150 migranti a bordo al largo di Lampedusa. Il tribunale dei ministri di Palermo, quindi, accusa il leader della Lega di sequestro di persona e di abuso di atti di uffici.
Lo scorso martedì 26 maggio si riunisce la giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere e, sin dal mattino, diventa palese quale sarebbe stato l’esito, in seguito alla dichiarazione di non partecipazione al voto da parte di tre senatori di Italia Viva e della cinque stelle Alessandra Riccardi, contraria al rinvio a giudizio, in pieno dissenso rispetto al suo gruppo.
I pronostici, quindi, già volgono a favore dell’ex ministro, sebbene i numeri corrano comunque sul filo. La seduta, presieduta da Maurizio Gasparri ed iniziata poco dopo le nove, rivela un finale tanto imprevisto quanto imprevedibile: 13 i contrari, 7 i favorevoli.
Uno a zero per il Capitano, dunque.
Anzi, ora siamo a due e mezzo per Salvini, dopo il caso Diciotti e quello Gregoretti il cui voto è rinviato a luglio.
Certo è che il primo paradosso a sorgere quasi spontaneamente è, come, all’interno di uno stesso partito possano coesistere e convivere due posizioni così diverse e, nella sostanza, così contraddittorie. Da una parte, infatti, abbiamo la ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova, approdata ad Italia Viva dal Pd ed impegnata nella battaglia a favore dei migranti e del riconoscimento del loro lavoro nei campi. Dall’altra Renzi, che “salva” chi da sempre fa propaganda d’odio verso quegli stessi migranti per via dei quali, oggi, pendono su di lui diversi capi d’accusa.
Tra le motivazioni addotte da chi si è espresso contrario, una in particolare è stata la più cavalcata:
«La nostra decisione è nel merito della questione, coerente col caso Gregoretti- si leva così un coro di voci -mancava una seria istruttoria per definire la vicenda».
Intanto Lucia Evangelista, altra senatrice 5S in giunta, attacca Italia Viva: «Solo giochi politici da parte del partito di Renzi su Open Arms, di tecnico non c’è proprio un bel niente». Per la dem Rossomando «siamo di fronte a un fatto di propaganda politica, ecco perché ho votato contro la relazione del presidente Gasparri».
Inevitabilmente delusa la Ong Open Arms: «Il voto di oggi rappresenta una battuta d’arresto nell’accertamento della verità». Mentre Erasmo Palazzotto, deputato Leu e fondatore della rete di associazioni e Ong “Mediterranea”, aggiunge: «La politica non si sostituisca ai magistrati, nessuno è al di sopra della legge». Nicola Fratoianni, portavoce di Sinistra italiana, afferma: «Oggi un senatore fa il garantista. Quando era ministro era forcaiolo con Mimmo Lucano, con me e con altri parlamentari. Bello fare il gradasso e scappare dal processo».
E qui si va a toccare un punto nevralgico, la magistratura, protagonista proprio in questi giorni di scossoni e terremoti al proprio interno.
Il caso Open Arms non si riduce, quindi, ad una semplice richiesta di rinvio a giudizio per un parlamentare ma apre tanti scenari e riflessioni sulla terza Repubblica, sul suo elettorato e sulla sua rappresentanza.
Come non sentire l’eco di indignazione di alcuni nei confronti di una legge che non è affatto, come costituzione recita, uguale per tutti?
O ancora, come sentirsi tutelati da questa classe politica che dovrebbe rappresentarci e, ora, perfino da una magistratura così vulnerabile e caotica che dovrebbe difenderci?
D’accordo che siamo avvezzi ai cambi di casacca e ai colpi di teatro dei nostri rappresentanti. A proposito, possiamo ancora definirli tali? O anche, da quando non ci è più possibile identificarci in loro? E qui arriva il punto su cui volevo accendere l’attenzione: esiste ancora un’ideologia, un ideale, un’idea, insomma, in cui potersi riconoscere ed identificare? A non esistere più sono proprio le ideologie e il comune sentire o non si ha la giusta e sana rappresentanza in cui far convogliare il il proprio pensiero?
Abbiamo ancora idee in cui crediamo fermamente, o anche solo un credo comune sotteso nel popolo (e qui si mette in discussione perfino il concetto stesso di popolo) e nell’opinione pubblica oppure, e sarebbe molto più confortante, a non esistere più è un profilo politico e dirigente in cui riconoscersi? L’identità lacerata è quella dell’italiano o, molto più banalmente, quella della classe dirigente politica? Quella sinistra e quella destra, due pensieri dicotomici, due realtà, due modi di essere e di vivere che si sovrappongono solo ed esclusivamente per mero calcolo e bieco interesse o c’è dell’altro, che riguarda noi altri. Siamo ormai privi e spogliati da ogni fede politica? Quest’ultimo caso sarebbe estremamente grave e preoccupante se non addirittura deleterio.
Per quale motivo, stando ai sondaggi (che poco si discostano dall’esito delle urne), l’intenzione di voto è così suscettibile di cambiamento, di settimana in settimana spostandosi di svariati punti?
Alziamo ancora di più l’asticella: i ragazzi, le nuove e nuovissime generazioni di cosa si stanno, le stiamo, nutrendo? Hanno o possono avere, in questo clima di odio e di perenne contrapposizione basata sul non sense, idee, pensieri, visioni critiche e personali? La domanda può apparire retorica ma, effettivamente, in che contesto potrebbero maturare una sana consapevolezza e uno spirito critico le giovani menti?
La scuola da sola non è sufficiente; oso di più, la scuola oggi è del tutto inadeguata nel contribuire a formare menti critiche e pensieri divergenti, trasformatasi in un terreno che nutre sempre di più le sole competenze e sempre meno i saperi.
E’ l’humus in cui nasce e si alimenta il saper fare e il riuscire a farlo sempre meglio, il tutto a discapito della conoscenza.
Diventa del tutto evidente come il tempo e la realtà storica in cui viviamo, agiamo ed operiamo si sia completamente trasformata, stravolta e rivoluzionata, ma siamo davvero convinti che, in fondo, la responsabilità di un popolo confuso e disarmato non sia anche un po’ nostra, di noi tutti, del nostro modo di agire, pensare, comportarci?
Quella ricerca affannosa del riuscire a fare, sempre di più e sempre meglio che va a sostituirsi all’insopprimibile vocazione dell’essere umano nel voler conoscere e quindi essere, non sia un rimando al capitale e alla logica materiale e mentale ad esso imprescindibilmente legata?
Tutti questi interrogativi diventano il presupposto per un’altra grande domanda: per quanto altro tempo ancora potremo ostinarci a far finta di nulla?