La regolarizzazione dello sfruttamento

Prima analisi del decreto per la regolarizzazione dei lavoratori migranti del 13 maggio 2020

A cura dello Sportello Diritti delle associazioni YaBasta! e Nova Koiné

Cosa si può dire del decreto per la regolarizzazione dei lavoratori migranti integrato nel decreto ministeriale del 13 maggio 2020? L’hanno battezzato pomposamente “Decreto Rilancio”. Ma ai migranti prospetta davvero un miglioramento della loro condizione?

La regolarizzazione viene trattata nell’articolo 110bis, che si articola in 21 commi (pp. 192-197). Nei prossimi giorni il nostro Sportello Migranti riprenderà a funzionare regolarmente (e non più solo in modo telematico) e potremo riunirci per formulare un’analisi sicuramente più completa ed esaustiva. Ma qualcosa possiamo dirla fin d’ora.

All’uscita delle indiscrezioni sulla bozza di legge avevamo già espresso le nostre preoccupazioni su questo provvedimento e nonostante le vistose lacrime della ministra al momento della Conferenza stampa, quella che i giornali chiamano “sanatoria”, noi continuiamo a ritenerla insufficiente oltre che irragionevole e profondamente iniqua.

In questi mesi di emergenza Covid-19 tante realtà del volontariato, quelle che ogni giorno praticano l’inclusione e si battono per la tutela dei diritti delle persone migranti, avevano chiesto una sanatoria che mettesse al centro le persone, il loro diritto a curarsi e ad accedere sia al sistema sanitario che a quello degli aiuti del welfare emergenziale. Ne era nato l’appello Siamo qui. Sanatoria subito – Appello per la sanatoria dei migranti irregolari ai tempi del Covid-19 (https://www.meltingpot.org/+-Siamo-qui-Sanatoria-subito-+.html) pubblicato agli inizi del mese di aprile.

Il decreto approvato dal governo è stato concepito, invece, sulla base di un’esigenza del tutto opposta. Non si è partiti dalle persone, ma dalle pure esigenze delle aziende, in particolare quelle agricole; e al centro non è stata posta la salute delle persone migranti ma le urgenze ed il profitto della grande distribuzione. Ne è venuta fuori una misura che anzitutto esclude tantissime categorie di lavoratori migranti (settore dell’edilizia, della ristorazione, della piccola distribuzione), e che in più non include i richiedenti-asilo, i quali continuano a restare in un limbo di rinvii e ricorsi.

Il decreto nei suoi primi punti dichiara l’urgenza di “far emergere il lavoro nero”. Ma in realtà ci sono solo tre casi che consentiranno ad un migrante irregolare di ricevere un permesso di soggiorno per lavoro subordinato:

1) un migrante irregolare disoccupato così fortunato da trovare un datore di lavoro che gli accorda un contratto di lavoro subordinato;

2) un migrante irregolare che sta lavorando senza contratto e il cui datore di lavoro ne dichiara l’irregolarità (pagando, o più facilmente facendolo pagare al lavoratore, un contributo forfettario di 400 euro);

3) un migrante presente sul territorio italiano alla data dell’8 marzo 2020 e che ha svolto attività di lavoro nei settori definiti dal comma 3 (agricoltura, assistenza alle persone e lavoro domestico) prima del 31 ottobre 2019, può fare richiesta di conversione del suo permesso scaduto in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro a condizione di esibire un contratto di lavoro subordinato, cioè la documentazione retributiva e previdenziale che prova un’attività lavorativa contrattualizzata, sempre nei soli settori del comma 3.

In questo modo chi fino ad oggi ha lavorato in nero continuerà a lavorare in nero senza avere nessuna possibilità di regolarizzare la sua permanenza in Italia. Anche perché dovrà valutare se davvero gli convenga denunciare lo sfruttamento cui è sottoposto.

Insomma, questo decreto mette al centro del processo di regolarizzazione non il migrante bensì il datore di lavoro, che diviene l’unico garante del percorso di regolarizzazione. Il comma 5 prevede infatti che al momento del rilascio del documento di soggiorno “il migrante svolga l’attività di lavoro esclusivamente alle dipendenze del datore di lavoro che ha presentato l’istanza”. La permanenza dei diritti è quindi legata non soltanto alla dinamica produttiva, ma addirittura alla figura del datore di lavoro. Con tutto ciò che si può intuire in termini di pressioni sull’orario di lavoro e sul salario…

La conclusione? Per come è congegnato il decreto, si va verso un ulteriore generalizzazione della compravendita dei contratti e si comprimeranno ancora di più i diritti di una categoria di lavoratori che già normalmente vive una condizione di super-sfruttamento sulla base del ricatto del permesso di soggiorno.

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