Il concetto di probabilità ha sostituito nel corso del ‘900 quello di causalità nella più deterministica delle scienze, la fisica. E l’oggetto ha perso buona parte della sua oggettività
Ma dopo un secolo siamo finalmente pronti a questa rivoluzione?
Anche nei “nostri” discorsi il coronavirus non è paragonato quasi mai alla Spagnola. Perché?
Le strade della notte sono incerte, e al buio è difficile capire la direzione.
Ma nella notte, dice la vecchia canzone, ci guidano le stelle.
Il principio di indeterminazione
Per quanto fosse, probabilmente, un nazista, come la stragrande maggioranza dei tedeschi all’epoca, è indubbiamente ad Heisemberg che dobbiamo una delle più grandi scoperte della fisica. Straordinaria almeno quanto quella di Einstein, che riuscì a inquadrare l’infinitamente grande dentro la teoria della relatività generale, l’intuizione di Heisemberg era dedicata all’infinitamente piccolo.
La teoria della relatività di Einstein mette a fondamento del nostro universo la luce e la sua velocità, come chiave di volta per comprendere le relazioni tra spazio, tempo, materia ed energia: sotto la lente della fisica relativistica queste distinte entità cominciano a trasformarsi in un una “cosa in se” non più infinita ma capace di espandersi, un contenuto che è allo stesso tempo contenitore, al di fuori del quale non c’è niente di conoscibile e forse proprio niente.
Heisenberg intuisce, in una notte d’estate, che nella trama ordita di questo unicum non è possibile, senza una quota di incertezza ineliminabile, la misura simultanea di due variabili coniugate, come posizione e quantità di moto di una particella. E non per una insufficienza dello strumento utilizzato, ma proprio per il rapporto di interazione che esiste tra l’osservato e l’osservatore nel mondo piccolissimo delle particelle elementari.
E, pur non citando più espressamente l’ebreo Einstein, per divieto del governo nazista, scava in profondità nel pensare la relatività: non solo materia, energia, tempo e spazio sono un unicum ma non sono neanche continui né divisibili all’infinito. Le equazioni di Heisemberg finiscono per individuare una realtà “discreta”, divisa per piccole unità di spazio-tempo e energia-materia. Il mondo diventa quantistico, e dei quanti non è possibile sapere con esattezza il comportamento, ma piuttosto la probabilità di esso.
Il colpo al determinismo è grande: l’azione osservatrice del soggetto non è neutrale per le caratteristiche dell’oggetto osservato, ma anche l’osservato non è neutrale per l’osservante. E il principio di causalità è di fatto sostituito dal principio di probabilità e la posizione cartesiana è sostituita da una nuvola di possibilità.
L’ipotesi di unificazione della relatività e della concezione quantistica, con la teoria dei loop, immagina un unicum spazio-tempo-materia-energia costituito da una trama di anelli che si combinano tra di loro grazie a sequenze binarie aperto-chiuso. Questi “elementi ultimi” avrebbero formato l’universo, al momento del big bang, in un miliardesimo di miliardesimo di secondo (l’era della “creazione” secondo Plank, durata 10−43 secondi). La “singolarità Iniziale” mostra, con una certa intuitiva evidenza, che esiste un dopo. Ma allude anche al fatto che non esiste né un “prima” né un “fuori”. La luce, propagata lungo la rete degli anelli, costituirebbe il principio primo e unico di quella relazione binaria, che regge, contiene e fonda l’universo, l’unicum materia-energia-spazio-tempo e chissà cos’altro, si svolge secondo i ritmi probabilistici di quel frammento d’istante. Così il tempo non è che una delle espressioni percepibili, come lo spazio, la materia e l’energia di questo unicum, di questa bolla di realtà, imperfetta, che si estende come un palloncino, ma che si sgonfia nelle pieghe della materia oscura e dei buchi neri.
Volenti o nolenti, è tutto quello che abbiamo. Ed è tanta roba.
La Spagnola del 1918
Perché è così diversa l’epidemia del 1918 da quella da CoVid-19?
Si certo, l’oggetto osservato è diverso: quella attuale è meno mortifera (in due anni la Spagnola si portò via 50 milioni di anime, e allora c’erano “solo” 2 miliardi di persone sul pianeta (1): in Italia morirono tra le 350 e le 600 mila persone (2) e se avete occasione di scorrere le lapidi nei vecchi cimiteri vi accorgerete che non fece eccezioni né di età, perché morirono bambini, giovani e anziani, né di sesso né di ceto sociale) e la situazione, oggi, è meno disperata (allora si usciva dalla prima guerra mondiale che aveva distrutto la gran parte delle infrastrutture civili e industriali). Ed è assolutamente vero che la Spagnola non fu vissuta come un fatto epocale, come invece, per esempio la Peste del ‘300, che lasciò tracce importanti nella letteratura e nelle arti figurative.
- Per quanto riguarda il dato sulla “spagnola” l’Historical Estimates of World Population, su census.gov, stima tra i 50 e i 100 milioni i morti determinati direttamente e indirettamente dalla pandemia influenzale del 1918. Mentre Philipp A. Sharp, genetista e biologo statunitense, vincitore, insieme a Richard Roberts, del premio Nobel per la medicina nel 1993 in un articolo sulla prestigiosa Science, tradotto sul portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica dell’Istituto superiore di sanità, stima in 50 milioni i morti causati dalla Spagnola https://www.epicentro.iss.it/focus/flu_aviaria/editorialescienze
- In Italia le stime oscillano tra i 350 mila ed i 600 mila morti di “Spagnola” come riporta la ricostruzione del dibattito su quella pandemia su Pathologica storica, una pubblicazione a cura del Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale St Anna, ASST Lariana, Como, Italia; 2 Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia, e dell’ Università degli Studi di Milano e SSD Psicologia Clinica, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano, Italia. Interessante a questo proposito la riflessione di Alessandro Cappelli https://www.linkiesta.it/2020/04/perche-linfluenza-spagnola-e-un-capitolo-dimenticato-della-storia-italiana/
Cosa c’è, dunque, di tanto diverso?
Non c’è bisogno di riferirsi al crudele (per chi, come me, ama i gatti) esempio del paradosso di Schrödinger per considerare che, come si diceva prima a proposito del principio di indeterminazione, l’azione osservatrice del soggetto potrebbe non essere neutrale per le caratteristiche dell’oggetto osservato.
Si può addirittura dire che due eventi, in se pur molto simili tra loro, possono essere effettivamente molto diversi perché vissuti da soggetti molto diversi.
Nel 1918 l’analfabetismo era diffusissimo, l’informazione scarsa, l’interconnessione dei produttori (operai, contadini) era garantita solo fuori del lavoro, e solo nei reparti avanzati e coscienti, da piccole organizzazioni politiche di avanguardia.
Oggi, invece, i “produttori” sono il “99%” della società: operai di fabbrica, impiegati, medici e infermieri, trasportatori e commessi, partite iva e contadini, professori e studenti, precari e disoccupati. Perché oggi tendenzialmente tutta la società è “produttiva” e la figura del produttore contemporaneo è davvero di tipo nuovo: diffuso, ricco e intelligente come mai prima, e soprattutto permanentemente interconnesso.
A differenza di altre esperienze nella storia, questo soggetto su scala planetaria si è trovato improvvisamente e inaspettatamente di fronte ad una chiara minaccia di morte e per la prima volta, soprattutto, ne ha avuto immediata consapevolezza grazie alla rete.
E’ possibile immaginare che questo soggetto collettivo, legato mani e piedi alla interconnessione globale, attraverso cui è produttivo praticamente sempre, per paura di morire, si rifiuti di lavorare? E che la rete, necessaria alla produzione contemporanea, si sia trasformata da catena in arma?
Il punto di vista del produttore, sembra abbia dapprima incontrato l’incredulità dei governi e dei funzionari del capitale. Ma poi è straripato dagli argini previsti, diventando egemone. Non è un punto di vista organico, definito a tutto tondo, perfetto. Tutt’altro: è il più confuso segnale di resistenza che si possa immaginare, eppure è vitale e potente, tanto da piegare governi e grandi organizzazioni capitalistiche.
Chi di noi poteva anche solo immaginare che le istituzioni europee avrebbero sospeso in pochi giorni il patto di stabilità, che gli stati maggiori del neoliberismo internazionale avrebbero pregato insieme affinché gli stati “mettessero i soldi in tasca alla gente”: e stiamo parlando di un decimo o forse un quinto del PIL di ogni nazione. Che gli USA decidessero un piano di sostegno straordinario della disoccupazione con un impegno iniziale, solo per il primo mese, di 2 mila miliardi di dollari? Che il bilancio europeo fosse impostato come un nuovo Piano Marshall?
Sono costretti dal virus? Certo, ma la macchina capitalistica potrebbe anche fregarsene di qualche milione di morti. Lo ha fatto in passato, e lo fa continuamente. A questo proposito: la polemica di diversi virologi sul fatto che l’influenza stagionale possa essere definita “banale” va nella giusta direzione: come si fa a definire banale un morbo che ogni anno uccide da solo nel mondo, nonostante i vaccini, oltre mezzo milione di persone? “E’ banale un raffreddore, non l’influenza, che insieme alla malaria e ad alcune altre infezioni endemiche ogni anno miete 2 milioni di vittime”. Sono tanti, eppure ci abbiamo fatto l’abitudine.
Perché, allora, questa volta e solo questa volta, i governi e i funzionari del capitale sono stati “costretti” dal virus a questa improvvisa svalorizzazione?
Bill Gates, che non può essere certo considerato un anti-capitalista e un no-global, su questo già ha espresso in tempi non sospetti (nel 2015 ) la sua posizione “Un virus, e non la bomba atomica, potrebbe distruggere la modernità così come l’abbiamo conosciuta”.
E il campione del capitalismo contemporaneo approda a conclusioni interessanti: il capitalismo va bene per tante cose, ma (sintetizzo naturalmente con un linguaggio diverso dal suo) dovrebbe ritirarsi da quei servizi che garantiscono la salute, la mobilità e la formazione delle persone.
https://www.money.it/Bill-Gates-profezia-nuova-pandemia-ogni-20-anni
E non per buonismo o per assicurare a tutti cure e diritti, ma piuttosto per garantire la continuità dell’economia.
Si potrebbe, dunque, dire che la rapidità e la globalità dell’estensione della pandemia e la consapevolezza immediata del rischio di vita sono state come un elettroshock. La catena o più precisamente la rete con la quale sono state imprigionate le vite del 99% delle persone, sta trainando adesso tutto il sistema.
Questa epidemia è, dunque, effettivamente la più grave delle altre epidemie della modernità.
E lo è esattamente perché il soggetto che l’osserva e la subisce la ha così determinata.
La soggettivazione, ovvero la costruzione della soggettività del produttore, ha raggiunto con l’estensione del rapporto sociale di capitale in ampiezza, a livello planetario, e in profondità, sussumendo tutte le attività umane, un livello mai visto prima.
Così la modernità, nata con la soggettivazione, oggi si trova di fronte al compimento del suo presupposto. O quasi.