Dell’individuo produttivo sociale ai tempi del coronavirus

Nei giorni delle città deserte e delle case con la linea di confine lì dove si chiude l’uscio, accadono cose strane, di vecchio e nuovo conio, come l’inflessibile tutore dell’ordine che, con tempra teutonica, multa l’incredulo “senza fissa dimora” contestandogli d’averlo scovato fuori dalle mura di casa (!?!), oppure come le vagonate di mascherine che, prodotte a milioni e milioni di pezzi al giorno, non si trovano a meno di un prezzo “normale” pari, nel migliore dei casi, a dieci volte l’effettivo valore … oppure come le ridotte industriali del profondo nord dove il blocco (a macchia di leopardo) dell’attività produttiva è stato accolto dai padroni con la fregola di chi dice “… basta ricreazione, è ora di tornare sulle linee …” , oppure come la scuola digitale in cui ci si guarda e ci si parla attraverso uno schermo allo stesso modo delle riunioni famigliari o amicali o associative, virtuali eppure reali al tempo stesso, perché i corpi e le voci proiettati in immagine non sono ologrammi ma persone che in quel dato momento davvero si salutano, si confrontano o si arrabbiano.

Così non era mai successo: nemmeno durante le due guerre mondiali, mai un numero talmente stratosferico di individui, più di tre miliardi, confinati nelle abitazioni, mai un black-out produttivo di tale ampiezza, con gli ospedali invasi fino alla saturazione a far opera straordinaria di cura ma, ad un tempo, di inesorabile diffusione del morbo.

Si dice: cambieremo, impareremo, diventeremo migliori. Ma questo potrà accadere per chi, attraversato dall’evento, sceglierà o capirà la potente bellezza del cammino con gli altri e, insieme alle altrui domande, si orienterà in direzione di una nuova umanità. Potrà accadere per chi incrocerà altri nella sacrosanta lotta per strappare la sanità dagli artigli privati, per rivendicare una nuova stagione di diritti e welfare, di salario e sicurezza, di protezione sociale e di risanamento ambientale. Questi, certo, potranno capire e capiranno, potranno incamminarsi e s’incammineranno. Poi, ci saranno quelli che per la rabbia o la paura della perdita di microfrazioni di (presunto) benessere, terranno ancora più lontano del morbigeno Covid-19 il “coronavirus” sociale di quelli che vengono dopo loro nella gerarchia della ricchezza distribuita… Su di essi faranno leva quelli che, alla maniera del gattopardo, invocheranno che tutto cambi affinché nulla cambi davvero.

La “complessità” di questo nuovo stadio della modernità capitalistica è davanti a  noi, ma è ancora avvolto nelle nebbie degli incroci della storia, dove si troveranno le risposte giuste solo a patto di aver prima formulato le giuste domande. Cosa può essere oggi all’altezza di ciò che fu, alla fine del Settecento, la triade libertè-egalitè-fraternitè o “il sol dell’avvenire” dell’Ottobre ? Sarà su questo che si costruirà il comunismo del futuro o come diavolo lo chiamerà qualcuno più avvezzo di noi a praticare il “diritto alla dimenticanza”. Nel frattempo, però, non possiamo dimenticare il “qui e ora” che si prospetta in funzione di quelle soluzioni comunque in grado di ipotecare, sia pure in parte, gli avvenimenti del “dopo/Covid” (che ne sancirà, probabilmente, la cronicizzazione socio-sanitaria).

Molto danaro in circolo, svalorizzando e svalutando, per ripartire da un livello riposizionato enormemente in basso e generalizzato in ogni angolo nel mondo, dove ogni fattore di potenza punterà a ricostruire il proprio ruolo nelle catene del valore globale (GVC) che, già all’alba del nuovo secolo, hanno sostituito le vecchie delocalizzazioni produttive (di valore-lavoro sotto forma di merci)­: ciò in cambio di un ritorno dell’oscillazione del pendolo verso il pubblico, il welfare, lo Stato. Oppure, una guerra all’ultimo sangue, per la nuova gerarchia del mondo capitalistico che spazzi via le eredità residue del Secondo Dopoguerra, passando col rullo compressore dell’interesse nazionale sopra ogni dissenso e rivendicazione. Con l’Europa che dovrà decidere se fare un passo verso l’unità (eurobond e creazione di moneta) oppure se scivolare verso la disgregazione delle piccole patrie (mes e condizionalità) oppure se continuare a decidere di non  decidere (sub/variante della seconda ipotesi).

La prima può esserci utile a respirare e riorganizzarci (posto che, per quanto in forme nuove, la necessità di organizzare le lotte, le rivendicazioni e le prospettive si darà comunque). La seconda, significherebbe prima la traversata delle vie dell’inferno, a saggiare le nostre buone intenzioni. Per intanto, ricominciamo a chiedere delle condizioni di esistenza e lavoro a chi le affronta in prima persona, ai tempi della moderna “peste”, nelle corsie degli ospedali, sulle linee produttive, nei quartieri dove non è comodo né bello “stare in casa”. Forse, capiremo di più e meglio che facendocelo raccontare per procura.

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