Di questa nostra vita menzognera – Uno

Ho sempre amato una poesia di Bertolt Brecht, Lode della dimenticanza.

Buona è la dimenticanza!
Come potrebbe altrimenti il figlio
lasciare la madre che lo ha allattato?
........
Come si alzerebbe l'uomo di mattina
senza l'oblio della notte che le tracce cancella?
Come potrebbe uno, abbattuto sei volte, alzarsi la settima
e rivoltare la terra sassosa, tentare
i pericoli del cielo?

Brecht ci dice che “una memoria debole / dà forza all’uomo”.

Non lo stiamo però esercitando questo diritto alla dimenticanza.

Non nel modo giusto di fronte all’attuale epidemia.

Siamo piuttosto inclini a dimenticare in anticipo. Prima dell’esperienza, prima di avere intimamente vissuto le nostre giornate.

Succede, così, che si parli direttamente del dopo, senza avere ancora caricato sulle spalle il fardello dell’ora.

A ben vedere, siamo al capovolgimento improvviso del presentismo che ha caratterizzato la contemporaneità più contemporanea, quella fino al dicembre scorso.

Cerchiamo di chiudere gli occhi, di cancellare ciò che c’è. E con decisione, quasi con baldanza, ci proiettiamo a ciò che sarà, a ciò che dovrà essere, a ciò che vogliamo che sia.

Lo fanno i politici, pensando, chissà perché, di essere in tal modo più concreti, più all’altezza dei tempi. Lo fanno i giornalisti, ritenendo – anche qui: chissà perché – di descrivere in tal maniera il mondo meglio dei poveri cristi. Meglio dei poveri cristi che sgomenti lo guardano chiuso attorno a loro.

E lo fanno con tormento gli internauti accaniti, che postano incessantemente le loro verità, ricapitolando senza posa il presente nel futuro prossimo venturo.

Com’è possibile, mi chiedo, che ci si lasci così poco attraversare dal qui ed ora inedito, e sconvolgente, che ci sta travolgendo?

Metà, forse più, della popolazione terrestre vive chiusa in casa. Distanziata. Non è forse una enormità?

E questa enormità la si può davvero sfidare a partire dalle parole? O non è piuttosto lo sgomento il punto giusto di partenza?

Lo sgomento di pesare con queste nostre povere categorie, quelle che abbiamo ereditato dal passato, una cosa talmente gigantesca che i nostri predecessori non solo non l’hanno mai vissuta, ma neppure l’hanno mai concepita. Se non nelle fantasie distopiche del cinema apocalittico, del day after.

Dimenticare è necessario.

Solo così, ha ragione Brecht, ce la possiamo fare a svegliarci il settimo giorno. Dopo le sconfitte degli altri sei.

Ma per dimenticare qualcosa, bisogna prima viverla per intero.

Scegliendo le parole con lenta sofferenza. Con lucidità.

Forse anche con un poco di silenzio.

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