Questo virus ci ha messo in discussione.
In pochi mesi si è “squagliato” il dogma moderno della onnipotenza dell’uomo e abbiamo scoperto di essere fragili come persone e come sistema.
Anche i dogmi del liberismo non ne sono usciti bene: abbiamo scoperto che l’economia moderna, se non funziona la politica e lo stato, non ha spazio; ma abbiamo anche scoperto che lo stato e la politica non sono autonomi, ma dipendono fortemente dalla società: addirittura la politica ha dovuto decidere, tanto per fare solo due esempi, di sospendere il patto di stabilità, e di chiudere, seppur in maniera timida, le fabbriche.
E ancora è andato in crisi, anche se solo in parte, il dogma del particolarismo nazionale: in una crisi come questa nessun paese, nessuna nazione anche grande ce la fa da sola e, peraltro, in poche settimane si è volatilizzato tutto il senso comune sui “buoni e i cattivi”: i buoni era scontato che fossero i paesi cosiddetti “democratici”, auto-nominatisi poliziotti del mondo, gli USA, mentre i cattivi, quelli contro i quali l’Italia spende fior di miliardi ogni anno per prepararsi ad una possibile terza guerra mondiale, era scontato che fossero i russi, i cinesi, i cubani, i venezuelani, i vietnamiti, insomma quelli che erano o sono nella vulgata giornalistica, i paesi socialisti. E invece sono proprio loro che per primi arrivano a darci una mano.
Pure l’Europa sta acquisendo un senso nuovo, uscendo d’un colpo dalle logiche dell’austerità e degli equilibri di bilancio. esattamente nel verso contrario a quello che finora l’ha caratterizzata: sembra profilarsi come via quasi obbligata quella degli Stati Uniti d’Europa, che fino a pochi giorni fa sembrava una residuale utopia di pochi illusi. In generale proprio la necessità della solidarietà attiva e della materializzazione del limite e della fragilità umana spinge nella direzione di un governo mondiale che abbia poteri reali su come gestire il futuro, visto che siamo al limite della sostenibilità per la biosfera.
Ma soprattutto il virus ha scoperto un potenziale “vaso di pandora”: stiamo infatti sperimentando quanto pesi quella società interconnessa, quegli operai sociali in fabbrica e negli ospedali, nelle scuole, sui treni e gli autobus, nei supermercati e sugli automezzi dei trasportatori. Addirittura più della politica, più delle multinazionali, più delle banche. E’ diventata improvvisamente la prima potenza mondiale, l’abbiamo vista in azione in Cina (per la prima volta tutto è stato trasparente fin dall’inizio, nonostante i tentativi della politica locale), in Europa e la vedremo all’opera anche negli USA e nella Gran Bretagna, quando anche in quei paesi la moltitudine avrà consapevolezza del rischio per i propri corpi.
Questa comunità (società o moltitudine che dir si voglia ) che sempre più è “internazionale” e mondiale, sta scoprendo la propria potenza e dopo la crisi potrebbe voler continuare a tenere in mano il proprio destino. Certo niente è scontato, e la repressione del “movimento reale” potrebbe ribaltare il senso di direzione, riportarci alla barbarie della guerra. Ma intanto quella possibilità di liberazione è aperta e potente, e passa subito attraverso la “pretesa” del reddito e della salute, già operanti.
Ma come si esprime questa comunità se non attraverso la sua stessa interconnessione?
E’ sopravvissuto il tema dell’organizzazione e allora “compagni, avanti il gran partito” anche di tipo nuovo o dobbiamo semplicemente restare al di qua del potere, costruendo spazi sempre più ampi di comunità di vita? Il “comunismo subito” può essere, insomma, “semplicemente” la pratica sempre più vasta di comunità di beni comuni dentro una cornice in cui, non per scelta ma per necessità, il potere smetta di essere onnipotente, l’economia ceda le armi alla società e la politica si elevi alle necessità di un governo mondiale per “curare” le ferite antropiche al pianeta?