L’islamo-fascismo che sta emergendo in Turchia

di Cihad Hammy

Proponiamo ai lettori questa analisi di un giornalista turco

Dopo il fallito colpo di stato di luglio, il partito al governo della Turchia, l’AKP, ha dichiarato lo stato di emergenza. Con spudorato cinismo il presidente Erdogan ha definito il tentativo golpista un “dono di Dio” e sta ora costruendo una nuova era per la Turchia: lo Stato, che sembrava uno stabile “modello di democrazia” per tutto il Medio-Oriente, tende ora a divenire null’altro che un moderno fascismo Islamo-turco. 

La nuova fase si è avviata col blocco di tutti i media non statali e con la distruzione dell’agibilità politica di tutti gli avversari – fossero coinvolti o no nel cosiddetto “colpo di stato”. Adesso, arrestando i copresidenti Selahattin Demirtas, Figen Yuksekdag e oltre 30 altri rappresentanti del Partito democratico del popolo (HPD), lo stato turco sta eliminando anche l’opposizione parlamentare. 

Siamo davanti a un drammatico assalto alle libertà politiche, e una vera e propria dittatura sta emergendo in Turchia.

Per lo HPD, così come hanno scritto anche Hannah Arendt, Murray Bookchin e Abdullah Ocalan, la politica è (o dovrebbe essere) un modo creativo di vivere in società – proprio nel suo senso classico-ellenistico -, con le persone che auto-gestiscono la propria specifica esistenza all’interno della Comunità. L’ambito politico è (dovrebbe essere) lo spazio dove ciascuno costruisce da sé le proprie quotidiane esperienze, al di fuori lo stato-nazione centralizzato. 

Il punto nodale di questo tipo di “politica diversa” è la qualità della vita. Si tratta cioè di stabilire che i cittadini possono determinare, per davvero e direttamente, la loro vita in un forme libere ed eticamente condivise. E’ perciò un tipo di politica molto distante dalla “politica statalista”, che si incentra tutta sui cosiddetti “affari di stato” ed è, in sostanza, un misto di manipolazione sociale, tecniche per il controllo e costruzione ingegneristica del consenso. Chaia Heller, una ecologista femminista e attivista sociale, nel suo libro “Ecologia della vita quotidiana”, definisce la sfera politica come “lo spazio in cui noi stessi ci affermiamo pubblicamente come responsabili dei nostri affari comunitari. È lo spazio in cui discutiamo, decidiamo e realizziamo le politiche pubbliche che danno forma alle pratiche sociali e politiche nelle nostre comunità”. 

Orbene lo HPD, che ha raccolto 5 milioni voti in Turchia alle elezioni presidenziali e 6 milioni nelle elezioni del 7 giugno, prima dell’assedio della città curde, si è impegnata in Parlamento proprio per spingere lo Stato ad abbracciare questo tipo di democrazia. Inoltre, cosa ancora più importante, l’HPD si è costantemente impegnata con i cittadini per democratizzare dal basso la società turca e spingere tutti al protagonismo diretto nelle scelte e nelle pratiche quotidiane. 

Ora lo HPD ha dichiarato che cesserà tutte le attività parlamentari e si concentrerà ancora di più sul livello di base. Eppure, significativamente, quel Partito è una parte imprescindibile del progetto storico complessivo teso alla creazione di una nuova politica in Turchia. In particolare, lo HPD è parte del tentativo in corso per costruire un’autentica, libera sfera dell’azione politica nella Turchia sudorientale (regione curda), che includa anche il Partito Democratico curdo. Questa sfera politica si incentra sui principi del femminismo, della ecologia, della pace, della uguaglianza e della libertà. 

Nonostante le immense difficoltà poste dalla repressione di Stato, lo HPD ha cercato di approfondire ulteriormente le proprie idee politiche e mettere in pratica i suoi valori e i suoi principi: non solo per i curdi, ma per tutta la Turchia. Il tipo di politica che l’HPD sta impiegando è creativo. Esso consente alle persone di pensare, lavorare e lottare per quello che dovrebbe essere, non per ciò che c’è ora nella società turca. La loro filosofia di “autogestione” tende, così, a radicarsi nel popolo, e promuove continuamente il protagonismo delle persone e la partecipazione attiva alle istituzioni democratiche.

In tal modo, oltre a spingere per un nuovo “modo di essere” della politica, l’HPD assolve a una funzione incredibilmente importante per la pace e la stabilità in Turchia. La guerra tra lo stato turco e il PKK è costata la vita a più di 40 mila persone da entrambi i lati, da quando è iniziata trent’anni fa. Questa guerra si è recentemente spostata dalle città alle zone rurali, e ha raggiunto un livello di intensità pari a ciò che già avvenne nel 1990. Lo HPD rappresenta ora la possibile “mediazione giuridica” tra le due parti. È l’unico partito politico con un progetto di risoluzione della questione curda e rappresenta anche una terza via politica, che possa impegnare con il PKK lo Stato medesimo. 

E però lo stato turco ha dimostrato ancora una volta, con i recenti arresti, che non è sincero nel risolvere la questione curda. Il copresidente dello HPD Demirtas ha sottolineato: “qualunque siano le condizioni, noi continueremo la nostra lotta democratica. Continueremo a ripetere i nostri appelli per la pace”. Ma sembra che lo stato turco abbia deciso di mettere a tacere, una volta per tutte, questi appelli. L’alleanza tra l’AKP di Erdogan con l’ultra-nazionalistico MHP, infatti, è un altro chiodo nella bara della pace, una prova che tempi bui ci attendono. 

Anche se il fascismo conduce alla irrazionalità e ad atti impensabili, non si può non capire che si tratta di una politica consapevole. In seguito al fallito colpo di stato… l’AKP si sente legittimato a servirsi pienamente del suo monopolio sulla violenza, sulla magistratura e sulla legge per distruggere e schiacciare la democrazia, imprigionando per prima cosa i deputati dello HPD. Di fatto, l’AKP è diventato un golpista “legittimo”. Non a caso, il copresidente dello HPD Selahattin Demirtaş, in un messaggio tramite il suo avvocato ha parlato di “una fase diversa del colpo di stato”, guidata stavolta dal governo e dal Palazzo (Erdogan). L’arresto di migliaia di membri dello HPD e del DBP (il curdo “Partito democrati delle Regioni”)… è il modo col quale Erdogan spinge per un sistema presidenziale di tipo dittatoriale, che mira a garantire il resto della vita dello stesso Erdogan come nuovo ‘capo’ della Turchia, sostituendo, nell’immaginario di tutti, persino il fondatore Kemal Ataturk. 

Naturalmente è stato un processo complessivo che ci ha portato a questo punto, e deve essere tenuto sempre presente che lo Stato turco non avrebbe potuto procedere con gli arresti di leader politici democraticamente eletti senza il consenso e il tacito sostegno di forze capitaliste internazionali, guidate dagli Stati Uniti e dalla NATO. Negli ultimi due anni, questi poteri avevano già chiuso un occhio per i massacri e le repressioni commessi dallo Stato turco contro i curdi… Di fatto, l’obiettivo di Erdogan e dei suoi amici è quello di sradicare la politica rivoluzionaria dal paese. È una specie di infanticidio: uccidere questo inedito e potente modello di gestione delle persone prima che cresca. 

Del resto, il Fascismo può facilmente affermarsi solo con la “desertificazione” della politica, quando le persone smettono di impegnarsi per padroneggiare le loro esistenze e non si ergono più, faccia a faccia, con le istituzioni. Così, i governanti turchi non stanno facendo questa svolta fascista solo per i propri interessi politici, ma anche per gli interessi del capitale nel suo complesso e per il suo potere di controllo.

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