Brasile. Perché Bolsonaro vince

di Atilio Boron  

(dal blog www.atilioboron.com.ar, traduzione LEF rivista) 

Atilio Boron (che il 3 dicembre sarà in Italia e terrà una lectio magistralis all’Università di Salerno) è uno dei maggiori intellettuali argentini. Pubblichiamo qui una sua nota, redatta proprio alla vigilia del secondo turno delle presidenziali brasiliane. Molto è stato già scritto sulla vittoria di Bolsonaro e sulle sue convinzioni fasciste (per lui Pinochet, il sanguinario generale golpista del Cile, aveva commesso l’errore di torturare molto e di uccidere troppo poco); ma il testo che presentiamo lo riteniamo particolarmente utile per capire l’essenziale della questione: che non è la figura di Bolsonaro, ma il perché uno come lui venga poi votato anche dagli sfruttati… 

Ho approfittato del mio viaggio di ritorno a Buenos Aires per parlare con diversi impiegati dell’aeroporto di Rio de Janeiro. Dico subito che la discussione è stata molto sconfortante, e ha confermato la sensazione già raccolta nelle strade di Rio durante la settimana. 

Ho conversato con un bel po’ di addetti al pubblico, assistenti di linea, facchini e commessi: tutte persone, senza eccezione, provenienti dai ceti umili della società. Si mostravano alquanto stupiti del fatto che io me ne andassi giusto alla vigilia del “gran giorno”. Fingendo di essere un turista distratto, che ignora le vicende politiche del paese che ha visitato, ho chiesto cosa sarebbe successo di così speciale all’indomani, domenica. Risposta: “Il Brasile sceglierà domani se sarà governato da un gigante o da un ladro”. E diversi di loro chiarivano per me: “Il gigante è Bolsonaro, e Haddad è il ladro”. Ma avrebbe vinto Bolsonaro, tutti ne erano certi. 

“E cosa farà il gigante?” ho chiesto a uno di loro. “Farà la rivoluzione di cui il Brasile ha bisogno”, mi ha risposto senza esitazione. “La rivoluzione?” ho chiesto, fingendo sorpresa e incredulità. “Sì” mi ha detto. “Una rivoluzione contro i banditi e i ladri. Il gigante sarà l’artefice della pulizia di questo paese!” 

È la una copia-carbone di quello che si sente tutti giorni anche in Argentina. I miei interlocutori hanno detto che i ptisti avevano rubato tutto, che Lula ha meritato di andare in prigione, che i loro figli erano diventati miliardari. “Bolsonaro – mi ha spiegato uno dei più accaniti – è un patriota che ama il Brasile e farà piazza pulita dei banditi che hanno distrutto questo paese, e lo renderà di nuovo grande e rispettato nel mondo”. Si intuisce facilmente la sinistra mano di Steve Bannon, l’ultrareazionario consulente della campagna elettorale di Trump, la cui squadra si è installata in Brasile per mesi. Dopotutto, lo slogan elettorale del “gigante” è null’altro che la traduzione della campagna di Trump in portoghese. Rifacciamo grande l’America, aveva detto il miliardario newyorchese. Ora è il Brasile che, grazie a Bolsonaro, dovrebbe riemergere dalle ceneri in cui il PT lo avrebbe cacciato. 

Ma c’è un ulteriore elemento in questa risposta. Al di là dell’opinione propriamente politica di questi lavoratori precari e sfruttati, emerge soprattutto un fortissimo senso di cameratismo, di partecipazione emotiva. L’ho percepita chiaramente quando una di loro, incrociata nei corridoi, mi ha gridato: “Domani, domani è il grande giorno!”. Un fervore sostanzialmente di tipo religioso. Il “Messia” – Jair Messias Bolsonaro adottò quel suo secondo nome dopo un fantasioso battesimo nel Giordano, sostenuto da un’ampia copertura mediatica – stava finalmente arrivando. E questo sabato eravamo alla vigilia dell’Epifania che avrebbe proiettato il Brasile nel firmamento del Mondo. 

“Sedici anni di banditi governativi hanno fatto di questa grande nazione una sorta di mendicante internazionale a causa della corruzione ufficiale”. Queste litanie mi sono state ripetute con simiglianza millimetrica. A un certo punto ho chiesto se non fosse vero che il programma “Bolsa familia”, che ha portato oltre 40 milioni di brasiliani fuori dalla povertà estrema, avesse migliorato la situazione. La risposta: “No. Perché è stata un’elemosina. Vogliono che le persone continuino così come sono, in modo da poter rubare a volontà”. Prima ancora della mia espressione di sorpresa, un altro ha aggiunto: “Riso e feijoada per il povero, grandi “consigli” (coimas significa anche “tangenti”  in portoghese) per i governanti!” Uno di loro, con una croce tatuata sul collo, è andato anche oltre, affermando che Haddad è anche più corrotto di Lula, tanto che con i suoi crimini ha quasi mandati in bancarotta la municipalità di San Paolo. Né aveva una migliore opinione della sua compagna di viaggio, Manuela D’Avila, del Partito comunista del Brasile, perché gli avevano detto che essendo atea avrebbe messo fuorilegge tutte le religioni. Una terza persona ha aggiunto che se il PT avesse vinto sarebbe stato Lula a governare dalla prigione nella quale comunque non sarebbe rimasto troppo. Perdonato da Haddad sarebbe andato all’estero, e da un porto sicuro per la sua fortuna mal guadagnata avrebbe manovrato Haddad a suo piacimento. I ladri sarebbero rimasti al potere. “Ma fortunatamente il gigante si è alzato”, ha concluso con sospiro. 

Mi ci è voluto un enorme sforzo per ascoltare tante bugie e infamie. E sono rimasto stupito dall’efficacia senza precedenti delle nuove tecniche di propaganda politica. Le campagne di terrorismo dei media non sono nuove in America Latina. Nel 1970 la candidatura di Salvador Allende in Cile fu combattuta con un torrente giornaliero di diffamazione attraverso il quotidiano El Mercurio e Canal 13 dell’Università Cattolica. Ma l’efficacia di quelle manovre non era grande. Ora, invece, c’è stato un salto qualitativo nell’impatto di questi enormi lavaggi del cervello, e il neuromarketing politico dei big data è cresciuto in modo esponenziale. 

Se si vuole neutralizzare questo tipo di campagna elettorale, diventa imperativo che i movimenti popolari comprendano fino in fondo i processi di formazione della coscienza politica nell’era digitale. In Brasile whatsapp è diventato il veicolo preferito, se non esclusivo, attraverso il quale gran parte delle classi popolari si sono informate e sono state formate, sugli affari pubblici. Con l’aiuto degli evangelici hanno deciso il loro voto per i candidati iperconservatori. L’accesso al big data ha permesso l’intrusione della propaganda di Bolsonaro in milioni di chat whatsapp, non soggetti al medesimo controllo che si trova su facebook, e da lì hanno lanciato una offensiva quotidiana di menzogne e calunnie contro i ptisti, diffondendo centinaia di fake news. Lo scopo dei messaggi è stato di implementare la dissonanza cognitiva tra i recettori e creare un senso di incertezza di caos, con la conseguente amplificazione della aspettativa della comparsa messianica, della voglia di un leader forte che ristabilisse l’ordine fra tanta confusione. 

Bisogna tener presente che i bambini al di sotto dei trent’anni accendono ormai la TV solo per guardare il calcio, non leggono i giornali e ascoltano soltanto musica alla radio o allo smartphone. Il loro livello di informazioni è molto basso e le loro convinzioni e percezioni sono state magistralmente manipolate da Bannon e dai suoi soci locali, che hanno operato sui social fin dal marzo di quest’anno. In effetti, allorché le indagini statistiche si appuntano sulle favellas e sui quartieri periferici, la questione della corruzione arriva solo terza tra le principali emergenze che vengono denunziate dagli abitanti, dopo il tema della insicurezza e quello delle difficoltà economiche dovute ai prezzi elevati, alla disoccupazione e ai bassi salari. Ma la propaganda efficacissima della destra è riuscita a fare della corruzione, della lotta contro i presunti ladri e della rigenerazione morale del Brasile, l’asse esclusivo di questa campagna elettorale. Non si è parlato di altro. E i risultati sono stati davvero straordinari. 

Domani, domenica, sapremo quanto successo avranno avuto i loro piani malvagi, e quali lezioni dovrebbero essere apprese dagli altri paesi della regione che stanno attraversando una situazione simile a quella del Brasile, in particolare l’Argentina.

Atilio Boron 

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1 commento

  1. I like reading through an article that can make people think.
    Also, thanks for allowing for me to comment!

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