A chi si preoccupa per quanto sta accadendo in Italia
La nostra tesi di fondo, come rivista on-line LEF, è che siamo alla vigilia di una dinamica politica, sociale e culturale molto diversa (e molto, molto più drammatica) rispetto alle caratteristiche della prima e della seconda Repubblica Italiana. Il dato più significativo è costituito dall’inedita, rapidissima educazione ed autoeducazione delle coscienze all’insegna della parola d’ordine “prima gli italiani”. In tutte le classi sociali, e anche nelle classi popolari, si stanno consolidando sentimenti ruvidamente aggressivi verso i valori della solidarietà e spietate voglie di sopraffazione verso coloro che “non sono omogenei”, a cominciare dai migranti. Forse non è ancora maggioritaria l’adesione esplicita alle idee e ai sentimenti razzisti e similfascisti, ma si sta frantumando in modo accelerato e clamoroso persino il principio dell’antifascismo, sedimentato dalla materialità di una Repubblica e di una Costituzione nate dalla Resistenza Partigiana, la cui memoria costituiva, finora, una insuperabile diga politica e sociale contro “il diritto dei più forti” e “il diritto della forza”. Di fatto, quello che fino a qualche anno fa era indicibile, adesso non solo viene detto ad alta voce ma tende ad occupare il centro della scena, e ciò sul piano delle relazioni civili ancor più che sul piano delle relazioni politiche.
- Saremmo ben contenti di sbagliare giudizio sulla fase storica che vive oggi l’Italia, e ci piacerebbe molto che le cose non fossero così come le vediamo; ma ovunque gettiamo lo sguardo scorgiamo con nettezza i primi lineamenti di un possibile regime reazionario. Viviamo, peraltro, un periodo largamente di transizione, sicché non c’è da meravigliarsi se convivono, nella stessa compagine di governo, molteplici “comportamenti immaturi” (immaturi ai fini della costruzione di un regime reazionario di massa) e non poche esplicite pulsioni, più o meno consapevoli, di stampo similfascista. Tuttavia, detto questo – e assodato che, rispetto ai tempi che videro il sorgere del fascismo storico, abbiamo ora una società molto incentrata sulla comunicazione (non solo come messaggi che arrivano alle masse, ma anche come masse che rilanciano continuamente i messaggi al proprio interno, che è poi il meccanismo di funzionamento della rete) -, ci pare evidente il vero e proprio cambio di paradigma sancito dalla nascita del governo Conte e dall’alleanza Lega/Cinque Stelle. A differenza dei governi Berlusconi, che pure avevano al loro interno una malcelata vocazione reazionaria, questo governo non si preoccupa tanto di essere legittimato da leggi ancor più autoritarie – cui comunque dà vita senza alcuno scrupolo, come dimostra il recente decreto-legge che cancella i permessi di soggiorno per motivi umanitari e punisce i blocchi stradali addirittura con sei anni di reclusione -,, bensì tende a muoversi direttamente con l’efficacissima procedura amministrativa del “fatto compiuto”. E soprattutto spinge per solidificare, nell’insieme del corpo sociale, i sentimenti autoritari. Il principale sentimento che vogliono creare è il sentimento dell’odio, assumendo come “nemici del bene pubblico” tutto ciò che, per il solo fatto di esistere, non sia in perfetta sintonia con la parola d’ordine del “prima gli italiani”.
- L’azione politica delle forze che si sono presentate come “governo del cambiamento” tenderà a configurarsi, in sostanza, come continua costruzione del nemico. E non si deve credere che loro bersaglio sarà solo il “basso della società”. Anzi, in prima battuta verranno indicati come nemici persino taluni significativi settori delle classi privilegiate e dello establishment economico: dai burocrati dell’Unione Europea ai vecchi politicanti, dai pensionati agiati ai capitalisti che investono all’estero. Ma la linea di attacco più virulenta e costante sarà comunque nei confronti degli ultimi della scala sociale. Tanto più che contro i reietti della società italiana, specialmente i migranti, già si riversa, con crescita esponenziale, l’avversione e l’odio sociale. E li aggrediranno indipendentemente dagli stessi costi economici che dovranno affrontare (al contrario di come molti credono, la crociata contro i migranti, col corredo di centri di detenzione ed espulsioni, comporta una spesa addirittura maggiore delle pratiche di solidarietà attiva e di inclusione…) A costo zero sarebbero, invece, le restrizioni sui diritti civili, che pure vengono preannunciate. Ce lo dobbiamo aspettare: apriranno un fronte di contesa con molte delle conquiste di civiltà degli ultimi anni – dall’esistenza delle famiglie arcobaleno alle pratiche mediche di interruzione di gravidanza -, magari non per cancellarle del tutto, ma per relegarle comunque in un ambito di riprovazione sociale e morale, che esalti, di converso, i valori nazionalistici dell’italianità tradizionale.
- Un punto particolarmente delicato è che resta ancora largamente incompreso, anche in chi comincia a paventare la svolta autoritaria delle istituzioni e della vita pubblica, il carattere eminentemente sociale dei processi in atto. Forse si percepisce (e non è detto) il clima cambiato nell’ambito della sfera politica; ma non si coglie il dato di fondo: ovvero che il piglio decisionista e la “mano forte” sul piano degli atti di governo sono effettivamente sollecitati e sostenuti dalla regressione di “senso comune” che corre come una valanga nel Paese. Né si comprende come la fase storica della globalizzazione liberista e iperliberista (che tanti guasti ha determinato nelle condizioni di vita e di lavoro a scala planetaria) sia praticamente giunta al capolinea per le sue stesse contraddizioni interne; e che ora tende ad affermarsi (un po’ ovunque e non solo in Italia) il panorama relativamente nuovo delle suggestioni nazionaliste e scioviniste, col moltiplicarsi delle frizioni tra gli Stati e la scomposizione accelerata degli equilibri e delle relazioni internazionali.
- Un aspetto molto critico della attuale situazione è costituito dalla estrema debolezza della opposizione al governo Conte-Di Maio-Salvini. Completamente fuori gioco appare l’opposizione istituzionale delle forze liberali e socialdemocratiche. I liberali, sia di destra che di sinistra (ovvero Forza Italia e la maggioranza del Partito Democratico), così come gli epigoni, più o meno moderati, della socialdemocrazia (la minoranza del PD e Liberi e Uguali) non soltanto sono quantitativamente ridotti sul piano della rappresentanza, ma i loro argomenti – che si condensano nell’invocazione al ritorno di ciò che c’era prima delle elezioni del 4 marzo – mobilitano poco anche le persone e i ceti che, per apertura democratica o per interessi particolaristici, guardano con preoccupazione al governo Lega/Cinque Stelle. Sono argomenti avvertiti come contraddittori (nel migliore dei casi). E ciò persino sulla vicenda dei migranti, che vede comunque un sentimento reazionario diffuso. Che significa, infatti, distinguere, come fa il PD (ma non lo fa Berlusconi, che appare sul punto persino più lineare), il blocco dei migranti in mare dal blocco dei migranti nei lager libici, messi su, con cospicui esborsi finanziari, dal precedente ministro Minniti? Analogamente poco incisivo appare l’allarme sulla democrazia rappresentativa in pericolo, dopo decenni di discredito, e auto-discredito, delle forze politiche rappresentate in Parlamento, delle istituzioni parlamentari e della stessa idea di politica.
- Anche le culture politiche antiliberiste e anticapitaliste, così come le lotte sociali e i movimenti di autorganizzazione popolare, vivono una situazione di difficoltà estrema. Al di là dei vizi antichi che continuano a caratterizzare la cosiddetta “sinistra di alternativa” (dall’attitudine a spaccare il capello in quattro alla visione angustamente schematica delle cose) e le cosiddette “strutture di movimento” (dal particolarismo degli obbiettivi al localismo delle esperienze), il punto vero sta proprio nella scarsa vitalità del conflitto sociale. Pesano come un macigno, più ancora del fascino perverso del nazionalismo similfascista, sia i corposi, trentennali processi di scomposizione del lavoro e delle comunità e sia l’individualismo sempre più esasperato veicolato dalla cultura dominante. Va però colto come queste aree, nonostante i limiti, restino un serbatoio prezioso di energie militanti, per quanto piccolo nei numeri. Intendiamoci: non è che servano a molto, per come si presentano adesso sul piano organizzativo e sul piano culturale. Non basta l’attitudine militante per essere realmente utili nell’attuale vicenda storica. Occorre soprattutto una riformulazione profonda della visione del mondo: nel senso che va consapevolmente tematizzata, e superata in avanti, proprio la crisi del pensiero dialettico e del concetto euristico di “complessità”. Per dirne una: non è accettabile che anche coloro che si dichiarano critici della società capitalistica tarino i ragionamenti sulle singole persone, finanche sulle loro astratte capacità di manovra, e non invece sui processi sociali complessivi. È la mancanza della visione dialettica e del senso storico della complessità a renderci incapaci di raccordare quello che accade oggi con quanto è accaduto in passato e, soprattutto, con ciò che può, nel bene e nel male, accadere domani.
- Sono dunque molte le insufficienze analitiche che dovremmo colmare. Tra queste spicca anche l’interpretazione diffusissima, ma sostanzialmente non veritiera, del fascismo. Soprattutto nelle file del movimento operaio, il fascismo è stato letto semplicemente come “controrivoluzione”. La tesi è che c’erano le rivoluzioni proletarie alle porte; e comunque i conati rivoluzionari erano diffusi in Italia e in tutta Europa, in particolare dopo l’Ottobre del diciassette. Il fascismo sarebbe stato, in tale quadro, null’altro che la risposta violenta delle classi dominanti alla insorgenza proletaria. Intendiamoci: non è che questo aspetto non ci fosse; ma esso fu, a nostro avviso, l’aspetto secondario. Il nostro convincimento è che il fascismo, ovvero la irreggimentazione in forme militari della società, sia stato soprattutto – lo fu allora, e potrebbe drammaticamente tornare ad esserlo – una dinamica politica in grande sintonia con la dinamica economica e sociale dell’età della totalizzazione del rapporto di capitale. Quando la produzione della ricchezza passa dai singoli tempi di lavoro alla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il tempo di lavoro, e perciò alla interagenza dei fattori produttivi, al general intellect, alla mobilitazione produttiva dell’intero corpo sociale, una società anche politicamente irreggimentata diventa addirittura l’optimum (in astratto) del capitalismo. Questo sostanzialmente fu il fascismo: la irreggimentazione della società, con la costruzione di un blocco unitario che metteva progressivamente assieme pezzi significativi delle classi privilegiate, amplissimi settori delle classi intermedie e la maggioranza addirittura delle classi popolari; e che soprattutto dislocava rapidamente le tensioni e i conflitti interni, i conflitti di classe, sul piano esterno, come conflitti tra nazioni. In effetti, il fascismo rappresenta sempre l’optimum astratto per il “capitalismo della totalizzazione”. E se i ceti privilegiati non vi ricorrono abitualmente non è soltanto perché dovrebbero vedersela con le forze democratiche e socialiste. Il nodo vero è che il fascismo è una dinamica politica altamente pericolosa per i capitalisti medesimi. Il rovescio della medaglia, infatti, è la tragedia storica, che è connaturata al fascismo: tragedia delle classi popolari, ma anche tragedia degli assetti costruiti attorno ai privilegi delle classi borghesi. Il fascismo la tragedia la porta con sé, nel suo DNA, esattamente come catastrofe bellica. Del resto, se si guarda al ventennio italiano, il dramma per le classi popolari non è che arrivò subito. Subito arrivò la repressione delle forze di opposizione, in particolare delle formazioni del movimento operaio (sindacati e partiti politici socialisti e comunisti); ma per l’insieme degli strati popolari, la fame, la morte e la disperazione non arrivarono subito. Arrivarono alla fine: con la guerra, che lo sviluppo medesimo del fascismo rendeva inevitabile. Questa digressione ci serve per ribadire, mutatis mutandis, un punto decisivo: oggi come oggi, appare profondamente sbagliata la previsione che questo governo colpirà anzitutto i proletari nel loro complesso. Non si propone di farlo. Si propone invece di colpire gli ultimi della società, in particolare i migranti. E questo fatto rende, con tutta evidenza, ancora più difficile contrastare la presa che comincia ad avere sulle classi popolari. Ma proprio perché è difficile, ci vuole un supplemento di cultura storica e teorica.
- Proprio perché ci accorgiamo di quanto siano approssimativi (nel migliore dei casi, e addirittura imbarazzanti nel peggiore) i ragionamenti proposti dalle residue file di quello che fu il Movimento Operaio del Novecento, noi di LEF abbiamo deciso di praticare con sistematicità il terreno della ricerca culturale. Tanto la resistenza ai drammi che si profilano quanto il contrapposto, possibile cambiamento nella direzione della giustizia sociale, della fratellanza umana e della libera espressione di ciascuno hanno bisogno, per prima cosa, per primissima cosa, di una ripresa del dibattito culturale e dell’impegno sul versante dei fondamenti teorici della critica al capitalismo. Non si fraintenda: LEF non ritiene di avere le verità in tasca; ma può divenire uno strumento utile per questo impegno. Di fatto, tenderemo ad essere un collettivo di riflessione, servizio e azione programmaticamente aperto e non chiuso su di sé, e collegato nei limiti del possibile con tutto ciò che si muove, senza settarismi e bizantinerie, nella nostra stessa direzione. Saremo “una rete definita, ma a maglie larghe”, puntando a divenire, nei limiti delle nostre forze, sia dal punto di vista dell’analisi e sia dal punto di vista pratico, un gruppo di aiuto e sostegno a ciò che già esiste, ed è bene che esista, sul piano delle pratiche di solidarietà e delle dinamiche vertenziali. E vogliamo interfacciarci soprattutto con coloro che capiscono la necessità, per contrastare seriamente le dinamiche similfasciste e le pulsioni autoritarie e razziste, di riorganizzare le file proprio sul piano del conflitto sociale.
- Ma come opereremo, in particolare, per l’approfondimento dei temi e delle questioni? Per dirla in breve, daremo vita a spazi partecipati di discussione e di elaborazione in forma di gruppi di riflessione. Uno dei primi gruppi che proveremo a costruire sarà esattamente sul similfascismo internazionale di oggi, sulla cultura che lo anima e sulle ragioni della sua innegabile capacità di penetrazione nelle classi popolari. Esso si collega ad altri due gruppi che riteniamo particolarmente necessari per spiegare ciò che sta avvenendo: un gruppo di lavoro sul fascismo storico e un gruppo di lavoro sul populismo. Ma in effetti esistono connessioni molteplici anche in riferimento agli altri due gruppi di lavoro che abbiamo individuato finora nella discussione: quello sulle vertenze sociali e sulle pratiche di solidarietà attiva e quello sulle principali esperienze internazionali di resistenza e lotta popolare, a partire dai curdi del Rojava e dagli zapatisti del Chiapas. È del tutto ovvio che un piccolo collettivo di lavoro, come siamo e resteremo noi, non avrà alcuna possibilità di determinare la ricomposizione delle forze sociali, culturali e politiche in grado di battersi per un futuro di reale progresso democratico; e meno che mai potrà contrastare un’eventuale dinamica di fascistizzazione accelerata. Possiamo però dare un contributo, proponendo riflessioni e sollecitando una discussione costruttiva in coloro che assistono sgomenti a quanto sta succedendo. Quello che più ci preme, e che più consideriamo decisivo in prospettiva, è di far argine intellettuale e morale agli egoismi aggressivi del “signor Rossi”, al quale, per dirla in una battuta, i rom “danno fastidio” indipendentemente dal fatto che ci abbia avuto a che fare oppure no. Insomma, noi non vogliamo organizzarci per ripetere lo snobismo della sinistra liberale nei confronti delle materiali esigenze del basso della società, oppure l’immediatismo semplificatore di chi pensa che contrapporre slogan a slogan possa essere la carta vincente. La rivista LEF proveremo invece a rilanciarla, nei limiti delle nostre forze, esattamente come un piccolo presidio di civiltà, che dia sostanza alla triade fondativa della modernità – libertà, eguaglianza e fraternità –, provando a declinarla sull’attuale scenario globale come prospettiva di liberazione ed autoaffermazione di tutte e tutti e di ciascuno e ciascuna.
- Va infine detto che LEF non si propone di vivere solo nell’ambito delle parole dette e delle parole scritte. Intendiamo invece attivarci anche nella costruzione di concrete mobilitazioni e vertenze, tanto più che lavorare sulla teoria significa, per noi, ugualmente agire: sia nel senso del fare inchiesta sociale e sia nel senso del costruire relazioni, interlocuzioni e pratiche con chiunque abbia a cuore i diritti delle persone e il loro valore universale, e sia animato dalla ripulsa per l’ingiustizia sociale, l’oppressione e lo sfruttamento. Ci sentiamo, in sostanza, sulla stessa lunghezza d’onda dei settori sociali sfruttati ed oppressi; e siamo vicini alle strutture positivamente impegnate sui temi dell’eguaglianza delle condizioni di vita, della libertà delle inclinazioni di ciascuno e della fraternità dell’incontro con gli altri. In particolare, lavoreremo fin da subito, assieme a tante altre realtà, per una specifica campagna politica, particolarmente rilevante nell’attuale contesto. Riguarda l’accoglienza dei migranti, e in particolare la difesa dell’istituto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, uno status che il decreto-legge del Ministro dell’Interno brutalmente cancella (altri punti negativi del provvedimento sono la sostanziale precarizzazione del sistema giuridico della protezione internazionale e le limitazioni al funzionamento degli SPRAR, col connesso potenziamento, in loro vece, dei famigerati CAS, i Centri di Accoglienza Straordinari, così spesso al centro delle inchieste della magistratura per scandali e cattiva gestione dell’accoglienza). Noi pensiamo necessario ripartire dalla proposta di legge di iniziativa popolare lanciata l’anno scorso dal coordinamento «Ero straniero – L’umanità che fa bene», composto da un arco ampio di realtà (ACLI, ARCI, ASGI, Centro Astalli, CNCA, A buon diritto, Radicali italiani, Caritas italiana, Fondazione Migrantes, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle chiese evangeliche italiane, CGIL, Emergency e centinaia di sindaci e organizzazioni locali impegnate positivamente sul fronte dell’immigrazione). Le 90.000 firme raccolte in calce a quello articolato ragionevole ed eticamente motivato rischiano di restare ad ammuffire nei cassetti del Parlamento, se non si determina una nuova, esplicita mobilitazione nel Paese.
- Il nostro proposito di ingaggiare – accanto alle iniziative concrete di resistenza e lotta – una contesa a tutto campo, e di lunga lena, sul piano della cultura e dei valori di riferimento si concretizzerà sia negli scritti che appariranno sulla rivista on-line LEF (e invitiamo tutti a dare uno sguardo agli oltre cento scritti già apparsi sul sito, per rendersi conto di cosa si tratta) e sia, soprattutto, in seminari pubblici. D’altronde noi siamo convinti che non soltanto la comunicazione ma lo stesso ampliarsi della comprensione postuli una dinamica di agorà. Il sapere va veramente avanti non quando chi più conosce socializza le sue conoscenze, ma esattamente nello sforzo collettivo di dialogare e interloquire a partire da una qualche ipotesi interpretativa; e in un comune cammino, fatto di domande e tentativi di risposta. Si capisce, dunque, perché noi non possiamo, e non vogliamo, costruirci nel senso di un “gruppo chiuso in se stesso”. Al contrario: noi siamo e resteremo programmaticamente aperti, come del resto è stata finora la rivista LEF; né vogliamo procedere con piccoli numeri o coi soli compagni abituati a scrivere. Anzi: riteniamo più importante la discussione della stessa scrittura, che sarà, in ogni caso, largamente collettiva. Ed è perciò che chiediamo a coloro che condividono, anche solo in parte, le cose che stiamo dicendo, di partecipare al progetto di rilancio della rivista, e di entrare, a pieno titolo, nel collettivo redazionale di LEF. C’è estremo bisogno di gente che si mette o rimette in gioco, se vogliamo attraversare, con possibilità di successo, i tempi lividi e drammatici che abbiamo davanti.
