Contro lo stato autoritario

Centro sociale ex canapificio

Per quanto la situazione italiana prima del 4 marzo fosse già molto complessa, possiamo prendere quella data come punto simbolico per analizzare l’attuale processo di trasformazione profonda del nostro Paese. 

Questo processo non era scontato, o almeno poteva non essere da subito così veloce e profondo. E scontato non era neppure il suo avvio: basti pensare ai vari tentennamenti che hanno reso necessario il decorso di vari mesi e il fluire di molte contrattazioni, prima del varo del governo e dell’assetto attuale. Ma ormai ci siamo. Il Governo Lega – 5Stelle segna una rapida accelerazione verso la costituzione di uno Stato autoritario. E avvertiamo subito che non riteniamo impossibile la coesistenza di questa tipologia di Stato con il permanere delle elezioni (almeno nel breve periodo). Al più, le scadenze elettorali potranno rappresentare una contraddizione, reale ma non risolutiva. 

Le somiglianze col ventennio fascista ormai si sprecano. Proviamo a citarne qualcuna, in forma non esaustiva: 

  • Il complottismo: se per i regimi di destra nel ‘900 il problema era una lobby internazionale comprensiva degli elementi più disparati, dagli ebrei ai comunisti passando per i capitalisti, oggi si va dalle cooperative rosse al Pd al Papa (!), passando per Soros, i trafficanti di esseri umani ecc.; 
  • Il sentimento attualizzato della vittoria mutilata: se il fascismo cavalcò il sentimento nazionalista italiano che riteneva di non aver ricevuto un adeguato riconoscimento a fronte del sacrificio offerto alla guerra, oggi si ritiene, ad esempio sulla questione migranti, che l’Italia abbia dato molto più di tutti gli altri Paesi. Il sentimento antieuropeista cavalcato da Salvini & Co. prende coloriture simili a quei sentimenti del primo dopoguerra; 
  • La società violenta, non solo in senso fisico, che pure c’è ed è forte. Violenta e spigolosa soprattutto nell’aggressione ai più deboli, con gli aggressori che ricevono una legittimazione dei loro gesti dal Governo, ma non ne sono controllati; 
  • L’identità precostituita: PRIMA GLI ITALIANI! è uno slogan netto, che attribuisce l’identità alla comunità, dando per scontato che essa non possa invece costituirsi con la contrattazione continua, difficile e quotidiana dei soggetti che la formano. Della comunità italiana si è solo oggetto, e l’unica scelta che abbiamo è se accettare questo destino o diventare traditori. 

È pleonastico dire che l’elemento in comune più forte sono gli stessi fascisti, ora ancora divisi tra chi scommette su un’inedita modalità di presentazione che superi anche il nome storico, e chi resta invece nostalgico e attaccato alle definizioni novecentesche. Fatto sta che dilagano i metodi fascisti come le ronde, le aggressioni, le provocazioni, le discriminazioni istituzionali per l’accesso alla mensa, allo scuolabus, al Buono Libri. 

Notiamo, nello scorrere di questo meccanismo, una tendenza dal basso ed una dall’alto. È una duplicità che risulta, purtroppo, poco chiara a quanti si portano dietro la visione riduttiva del fascismo storico come secca controrivoluzione. Lungi dal legittimare il carattere rivoluzionario del fascismo storico, almeno nel senso da noi inteso e cercato, va capito il dato di fondo: il fascismo non fu solamente reazione, ma anche una determinata costruzione sociale, economica e politica. Esso si trovava in piena sintonia con l’esigenza capitalistica di irreggimentare la società, di assegnare allo Stato totalitario la coordinazione della produzione sociale, impossibile ai singoli capitalisti, per quanto grandi. Nel ventennio ciò si raggiunse con un intervento diretto dello Stato nell’economia (un esempio su tutti fu l’IRI, ma anche il corporativismo, che disciplinò, a favore dei padroni, la contrattazione sindacale). Oggi questa funzione non è stata abbandonata, ma si è adeguata alle esigenze produttive che richiedono estrema mobilità, velocità e “leggerezza” del capitale. Lo Stato interviene sempre meno direttamente nella produzione reale, ma resta il principale normatore della direzione produttiva: lo dimostra anche il suo assecondare un modello capitalistico rispetto ad un altro. 

Il fascismo, dunque, ha avuto una propria idea di società, e l’ha perseguita ostinatamente con una  spinta dall’alto. Ma parimenti, è innegabile che (oggi come allora) esista la voglia di fascismo nello stesso corpo sociale; e questo è uno dei mutamenti più significativi che sta avendo con la  precipitazione dal 4 marzo in poi. Una parte rilevante degli italiani sente il bisogno dell’uomo forte. È un sentimento che viene da lontano e che si è già espresso in dinamiche di obiettiva limitazione della democrazia: basti pensare all’eclissi del Parlamento, il cui ruolo dovrebbe essere legislativo, e che si trova da tempo ad incarnare il ruolo dell’impiegato che pone il timbro su leggi che, in un modo o nell’altro, vengono dal Governo e, in particolare, dai leader del partito più forte. 

Lo scriviamo adesso, una volta per tutte: queste tendenze esistevano già da prima del 4 marzo, e le spinte sono venute anche dal PD. Basta citare la Riforma costituzionale proposta da Renzi (abolizione del bicameralismo perfetto, riduzione del numero di parlamentari, rafforzamento del ruolo dell’Esecutivo ecc.), o anche la politica migratoria impostata soprattutto da Minniti, e gli esempi sarebbero ancora tanti. Ma è fuor di dubbio che, se il PD ha commesso questi atti clamorosi, chi al momento riesce a trarne maggiore giovamento sono soggetti diversi, che hanno portato la posta su un livello più alto sia per quantità che per qualità. 

Ma perché al momento

Le cose si trasformano con grande rapidità. La velocità è uno dei tratti distintivi del nascente Stato autoritario: chi prova a fare opposizione sociale si trova costretto ad inseguire, a cercare di rallentare, il più delle volte senza grandi risultati, il processo in corso. Consideriamo il Decreto Salvini e le vicende di contorno, il cui corso è una delle pietre miliari del nuovo autoritarismo. Nel giro di poche settimane ci siamo trovati il Permesso di Soggiorno per Motivi Umanitari e la rete dello SPRAR cancellati; l’inasprimento delle pene per le occupazioni e per i blocchi stradali; una pressione istituzionale fortissima in favore degli sgomberi delle occupazioni abitative; la persecuzione giudiziaria nei confronti di Mimmo Lucano e la distruzione del modello Riace, conosciuto in tutto il mondo, almeno così come esisteva fino a poco tempo fa; e ci troviamo nel frattempo bambini esclusi dalla mensa di Lodi, studenti esclusi dal Buono Libri in Veneto, ecc. 

Va tutto male? Le cose complessivamente vanno male, ma ci sono segnali di speranza che vanno colti: la grande partecipazione alla Marcia Perugia-Assisi, così come la manifestazione a Riace che è stata la punta di una mobilitazione che ha attraversato il Paese in solidarietà con Mimmo Lucano; le manifestazioni studentesche in Italia, così come la grande adesione alla raccolta fondi per i bambini di Lodi, che ha portato a prendere posizione non solo Fico, ma anche Di Maio e perfino Salvini, il quale, pur difendendo nel merito l’esclusione, ha fatto un passo indietro, acconsentendo alla presentazione delle autocertificazioni. Ai movimenti, ai compagni, alle persone democratiche diciamo: questi segnali di speranza, e le oscillazioni nel blocco autoritario, vanno colti, ma non commettiamo l’errore di far finta che le cose non siano così preoccupanti, e che magari possiamo ancora concederci determinati lussi. Per frenare l’ondata autoritaria c’è bisogno di ben altro: dobbiamo cogliere il vero processo in atto, e su questa base costruire le linee per l’organizzazione. Altrimenti sarà tutto inutile. 

LE MANIFESTAZIONI NAZIONALI 

Abbiamo preso parte ai due percorsi assembleari nei quali ci si è interrogati sulla costruzione di una mobilitazione nazionale antirazzista: una lanciata dalla rete Fight Right e l’altra dalla rete 3 Febbraio. 

L’esito di questi percorsi sta portando alla costruzione di due appuntamenti differenti, sempre a Roma: una prevista per il 10 novembre e l’altra per il 15 dicembre. Nel mezzo, tra queste due manifestazioni, vi saranno ulteriori appuntamenti, sempre a carattere nazionale: il 16 o 17 novembre è in preparazione una mobilitazione studentesca, mentre il 24 sarà la volta di Non una di meno. E il 20 ottobre sono scesi in piazza USB e Potere al Popolo a Roma. 

Questo moltiplicarsi di appuntamenti potrebbe dare un’impressione positiva, un’idea di prolificazione di mobilitazioni, ma la realtà ci sembra ben altra e ci parla di divisioni, inconciliabilità, incapacità di trovare una sintesi, pur nel rispetto della visibilità che ciascuno cerca per la battaglia che porta avanti. Per logica vertenziale, dato il nostro intervento forte sulla questione immigrazione, saremo presenti il 10 novembre e il 15 dicembre, anche se la nostra organizzazione condivide tutti i temi e quasi tutte le piattaforme di tutti gli appuntamenti previsti; ci risulta però impossibile mobilitarci per ognuna di queste occasioni e, come noi, anche tanti altri condivideranno questo disagio. 

Il punto è che queste manifestazioni riusciranno anche a parlare al Paese, o almeno all’opinione pubblica più attenta e a qualche rappresentante di partito intenzionato ad ascoltare. Ma c’è il rischio molto fondato che non costituiranno un argine consistente e duraturo alla costruzione di uno Stato autoritario. 

Più funzionale a questo scopo, sarebbe una mobilitazione nazionale unica, dove possano confluire le diverse sensibilità, e le varie questioni e proposte. Portiamo avanti da anni percorsi di lotte e vertenze, e sappiamo che l’elemento determinante per vincere non è tanto la chiara identificazione di una manifestazione sotto un tema o un altro, ma soprattutto ciò che si costruisce prima e dopo la mobilitazione. 

Dal 2002 ascoltiamo i soggetti reali, soprattutto migranti e rifugiati, facciamo inchiesta attraverso uno Sportello e delineiamo il problema. Studiamo, ci informiamo, troviamo le fessure nelle maglie della legge che consentano forzature. Coinvolgiamo chi è venuto allo Sportello con lo spirito di un utente invitandolo a diventare soggetto collettivo organizzato (dall’Io al Noi); predisponiamo l’interlocuzione con le Istituzioni che hanno il potere di sbloccare il risultato, come si predispone una leva con la quale sollevare un pesante masso; portiamo in piazza la forza che può sollevare la leva, spesso lanciando il cuore oltre l’ostacolo, e ottenendo un risultato concreto per le persone che hanno creduto nella lotta e si sono messe in gioco. 

Se manca tutto il lavoro di costruzione della lotta-vertenza, fare una manifestazione riconducibile ad un tema chiaro e preciso non servirà a molto, e soprattutto non ci mette al riparo dal rischio di non arrivare al risultato, dal rischio cioè di perdere la battaglia: di non frenare davvero il progetto di Pillon & Co., di non arginare il razzismo istituzionale di Salvini, di non ottenere un vero welfare studentesco ecc. Soprattutto oggi, col clima che c’è, noi riteniamo essenziale che, una volta predisposta la lotta-vertenza, si arrivi ad una mobilitazione unitaria delle forze disponibili, che possa aprire contraddizioni nella attuale, incalzante irreggimentazione della società. 

Siamo convinti, al tempo stesso, che non sia troppo tardi per organizzare, dopo che questi vari e singoli appuntamenti avranno avuto il loro corso, una grande manifestazione nazionale unitaria e determinata, che possa dare uno slancio importante all’opposizione sociale e favorire il processo di polarizzazione che, per come la vediamo noi, è la chiave di lettura utile per muoversi nei prossimi tempi. 

IL PROCESSO DI POLARIZZAZIONE 

Siamo largamente ancorati a categorie di ragionamento che si apprestano ad essere spazzate via: quelle degli attuali partiti così come degli attuali movimenti e forze istituzionali, con relativi equilibri e punti fermi. 

Facciamo un esempio: è sacrosanto criticare il decreto Salvini su sicurezza e immigrazione mettendo l’accento sulla questione della sua incostituzionalità. Ma, rispetto al passato, quando un tale elemento poteva giocare un grande ruolo nel rendere inoffensiva una norma sbagliata e soprattutto il processo che tale norma rappresentava, adesso è un fattore è largamente depotenziato. Lo Stato autoritario, se non può vincere con le regole del gioco stabilite, le cambia. Se ci sono delle mosse non consentite, allarga il campo delle possibilità e le effettua lo stesso. Gli ostacoli che trova, diventano i prossimi obiettivi da colpire. 

La facilità con cui, in questi pochi mesi, sono entrate in crisi alcune esperienze significative, alcuni concetti cardine della democrazia e dell’inclusione, diritti che resistevano nonostante le aggressioni ricevute anche negli anni precedenti, ebbene questa facilità ci deve portare a riflettere. 

Un lusso che oggi non possiamo più permetterci è di promuovere manifestazioni nazionali con titoli molto specifici, considerando che non sappiamo per quanti anni ancora sarà possibile organizzarle; ma non possiamo più permetterci neppure di categorizzare la realtà con le sigle a cui ci siamo abituati negli ultimi decenni. Lo diciamo chiaramente: PD, 5 Stelle, LeU, FI e forse perfino la Lega, potrebbero essere nomi di contenitori passeggeri. 

La società è in movimento, e viaggia verso una polarizzazione: da una parte si agglomererà chi intende cementare il processo autoritario, e tra questi non saremmo per nulla stupiti di rinvenire “pezzi” che oggi appartengono agli schieramenti ed alle forze politiche più disparate; ma questo polo regressivo prefigurerà anche la formazione di un polo positivo, nel quale invece potrebbero coagularsi le forze di coloro che intendono resistere. In esso, come anche nel polo opposto, vi saranno spinte, tendenze, forse anche vere e proprie correnti che non renderanno difficile una piattaforma programmatica unitaria. Nel caso del nostro polo di appartenenza, già ora registriamo che sarebbe difficile andare oltre il riconoscimento della necessità di resistenza. E questo è un grande limite. 

Su Potere al Popolo abbiamo espresso più volte le nostre perplessità: non entriamo nemmeno per un attimo nel merito della discussione che si è creata al suo interno, ma la nostra perplessità si è accresciuta considerando il tempo e le energie spese con tanto impegno e generosità da molti compagni, volte a costruire un segmento che di fatto traccia solo l’ennesimo perimetro, cosa molto poco funzionale di questi tempi. Il limite più grande che possiamo avere, infatti, è proprio quello di non accorgersi del processo di polarizzazione, perché così lo si subisce e non lo si organizza. In pratica, si è sconfitti. 

Al contrario, il ruolo degli antifascisti, dei compagni e dei democratici, in questo preciso momento, è esattamente di accelerare la polarizzazione, chiedere di schierarsi, favorire la precipitazione della formazione del polo resistente. Ma per spingersi in tale direzione, occorre dotarsi di una visione dialettica, non statica, non rigida, che non accetta come eterno quanto finora è stato costituito. Bisogna perciò parlare con chi è interessato, e dimostra sensibilità ed apertura: nel PD, in LeU, nel Movimento 5 Stelle, nella Chiesa, tra i sindacati, le associazioni nazionali. Nessuno tra questi può essere escluso a priori. 

A questo punto, qualcuno sarà così indignato da non voler quasi continuare nella lettura. Ma come?! Parlare con gente del PD?! Con chi ha distrutto i diritti dei lavoratori, con chi ha favorito politiche securitarie ecc. ecc.?! La nostra risposta secca è sì! Perché ovunque vi sono delle contraddizioni. E noi non dobbiamo averne paura, bensì lavorarci, provarci. 

Facciamo un esempio attuale: è un’ottima cosa che il Segretario del PD Martina si sia espresso sulla necessità di una mobilitazione nazionale antirazzista. A qualcuno pruderanno le mani: proprio lui parla? Perché il suo partito non ha abrogato la Bossi – Fini in tanti anni di Governo?! Pur condividendo, noi, una critica di questo tipo nel merito, giudichiamo la sua riproposizione in una formula escludente come un macroscopico esempio della visione statica che non aiuta. Noi a Martina, e a chiunque parli di scendere in piazza contro il razzismo, diciamo invece: Benissimo! Organizziamola insieme! Costruiamo insieme un fronte sociale che parli di canali di ingresso regolari, sicurezza da costruirsi con l’accoglienza di secondo livello che il Governo sta smantellando, costruiamo un’unità di azione tra la piazza ed una rappresentanza parlamentare mista, sosteniamo la Proposta di Legge ERO STRANIERO che contempla il superamento della Bossi-Fini! Non è detto che la nostra intenzione vada a buon fine, ma la sfida va assolutamente lanciata. 

Si potrebbe fare un parallelo col profondo della società. Se nel ventre della società si aggira il bisogno di fascismo, c’è anche una parte che la pensa diversamente, che magari è numericamente inferiore, e che però in questi mesi ha avuto la capacità di non lasciarsi scivolare addosso le cose, e che magari vorrebbe provare ad organizzarsi. Noi dobbiamo parlare alla società tutta. A chi vuole ribellarsi, perché ha bisogno di un fronte unitario; ed anche a chi, nella sua apatia o nella sua foga, in questi anni è caduto nella trappola della paura e della xenofobia. Salire sul piedistallo della purezza, tacciare in automatico di razzismo e stupidità chiunque abbia votato Salvini o i 5 Stelle, non fa che isolarci. Mentre occorre rilanciare sulla vera sicurezza: quella che si costruisce lottando in favore dei diritti dei più deboli. Alla comunità ideologicamente preimpostata che rifiutiamo, dobbiamo da subito contrapporre una diversa società, nella quale ci si mette in gioco e si chiama all’impegno. 

Non abbiamo molto tempo, e la posta in gioco è altissima. Il regime fascista italiano è durato più di vent’anni; e noi oggi non possiamo fare politica come se stessimo in un parco–giochi, come se fossimo sempre in grado di arginare le conseguenze degli errori o come se bastasse uscire dal campo di gioco per tornare alla vita di sempre. Non sappiamo quali sentieri ci troveremo a percorrere nei prossimi tempi, sappiamo solo che saranno irti e complessi. E che la campana sta suonando per noi tutti, ancora una volta. 

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