Dall’ultimo libro di Rocco Pittito, una attualissima riflessione sulla solidarietà.
La fiaba I suonatori di Brema dei Fratelli Grimm narra di quattro vecchi animali – un asino, un cane, un gallo e un gatto – che fuggono dalla loro condizione di destinati alla morte per tentare una vita altrove, accettando i rischi di un viaggio non facile. Sono animali allo stremo delle loro forze, in fuga da un presente troppo triste. Si mettono in cammino verso Brema con un futuro incerto, tutto da reinventare. Sono arrivati piuttosto malridotti alla fine del loro servizio di lavoro o amicale presso i rispettivi padroni, e la sopravvivenza per ognuno di loro si annuncia problematica. Di fatto non hanno alcuna speranza di poter vivere ancora nella casa abitata da ciascuno. La fine, diversa per ognuno di loro, si annuncia imminente, quasi immediata. In effetti questi animali sono diventati dei relitti, degli scarti, e i loro padroni non sanno più cosa farsene. Sono diventati troppo vecchi, non più abili al lavoro. Non sono nemmeno di compagnia. La loro morte è nell’ordine delle cose. Tutti e quattro sanno, per averlo intuito a sufficienza, di essere destinati a breve, ciascuno per ragioni diverse, a finire i loro giorni in luoghi di esclusione o di estinzione. Le porte delle case saranno a breve sbarrate e l’oblio cadrà su di loro. Ma nel passaggio cruciale essi hanno un sussulto di vita e di dignità e rifiutano la strategia di soppressione pensata per ciascuno dai rispettivi padroni, e vogliono vivere più a lungo sapendo di poter essere utili ancora, facendo, magari, un lavoro meno pesante e meno stressante. Da tanti indizi hanno percepito con grande sorpresa che la loro fine è imminente, a meno che non succeda qualcosa di imprevisto, meglio se voluto e propiziato da loro stessi, che possa scardinare l’inevitabilità del loro destino ed aprire un varco inaspettato alle loro attese di vita.
Ribellarsi alla loro prossima fine diventa così il nuovo compito che si inventano. Sono consapevoli che soltanto loro possono cambiare le cose, non certamente i loro padroni, non più disposti a concedere un’altra chance. L’occasione, che si presenta e viene perseguita con determinazione, è di fuggire e di andare altrove, a Brema, per iniziare una nuova vita con nuovi obiettivi, nuovi stimoli e una nuova speranza. Rincorrono una seconda opportunità negata loro dai vecchi padroni. Sanno che potranno riuscire nell’impresa se metteranno da parte egoismi e gelosie per concorrere insieme a realizzare un obiettivo condiviso. E il loro sogno di vivere più a lungo diventa realtà, prima ancora di essere arrivati a Brema, già nel mezzo della loro viaggio.
Brema, meta del loro viaggio è solo un luogo immaginario, creato dalla fantasia, perché il loro è, in realtà, un andare senza alcuna meta determinata, senza sapere dove. Forse Brema è solo un luogo poco lontano, da loro conosciuto perché oggetto dei discorsi dei padroni. I quattro animali sanno solamente che devono fuggire dai rispettivi luoghi di appartenenza. Per la futura dimora da raggiungere un posto vale l’altro, se assicura una dignitosa sopravvivenza. Andare a Brema significa fuggire dalla morte certa e tentare una nuova possibilità di vita, non ancora definibile nei suoi contorni.
Ma la sola fuga e la riconquistata libertà non aiutano a risolvere i problemi. La soluzione definitiva per la sopravvivenza passa, infatti, attraverso la scelta dello stare insieme, attraverso la riscoperta di una solidarietà che li porterà a intraprendere lo stesso cammino di speranza, superando diffidenze e divergenze reciproche e mettendo a disposizione della causa comune ogni loro capacità. Sopravvivere è aiutarsi a sopravvivere. Stando insieme e aiutandosi vicendevolmente ce la potranno fare e potranno guardare al futuro con fiducia e serenità. Le loro identità divengono salve in un nuovo contesto di vita. Il finale della storia è esemplare perché delinea i tratti di un mondo pacificato, dove il bene prevale sul male e gli eroi negativi sono sconfitti dagli eroi positivi.
Più che un semplice racconto sul mondo degli esseri animali, è un apologo sull’uomo e il suo destino. È, a ben vedere, la metafora dell’umano che rincorre il suo difficile riscatto e lo trova infine, come i quattro animali della fiaba, nella riscoperta di uno stare insieme condiviso, che diventa esercizio e pratica di solidarietà. La fiaba, in realtà, ci parla proprio dell’uomo in crisi d’identità e incerto del suo destino nel mondo. Il fatto è che nessuno può pensare di poter risolvere da solo i problemi dell’esistenza.
Come i quattro animali anche gli uomini vivono la condizione drammatica del tramonto, sospesa tra l’attesa imminente della fine e la speranza, fortemente creduta, ma quanto mai aleatoria, di un nuovo cominciamento, difficile persino da immaginare, ma altrettanto necessario, se si vuole ottenere la sopravvivenza propria e quella di tutti gli altri. Il nuovo inizio non avviene, però, per via naturale o per un caso fortuito della sorte, senza cioè un’azione consapevole decisa dell’uomo e della società. E’, piuttosto, il risultato della riscoperta e della pratica della solidarietà, una relazione umana più forte che nasce dalla comune consapevolezza degli uomini della loro fragilità e dalla riscoperta della sua originarietà rispetto a pratiche ad essa contrarie. Se la solidarietà è all’inizio dell’avventura dell’uomo nel mondo e costituisce il suo destino, la conflittualità è la sua fine e la sua condanna.
Quegli animali protagonisti della fiaba sono, dunque, i rappresentanti di una umanità umiliata e ferita, anch’essa alla deriva, da tanti indizi prossima raggiungere la stazione finale della condizione umana, che conduce alla sua scomparsa e alla sua distruzione. Come i quattro aspiranti suonatori, gli uomini vivono con disappunto e con angoscia la stagione del loro tramonto. Non sanno più cosa fare, dove andare. Sanno soltanto che devono fuggire il più lontano possibile dalle abitudini e dagli effetti della loro vita. Vivendo sotto il segno di una conflittualità sempre più diffusa e distruttiva, è la loro condizione esistenziale ad essere entrata in crisi e a rendere per loro tutto così incerto e precario. Sanno che il loro destino è già scritto nell’ordine delle cose: saranno seppelliti dai loro desideri, che non potranno mai essere appagati, e scompariranno senza lasciare traccia del loro passaggio nel mondo. Non c’è altra soluzione alla conflittualità se non la loro fine come esseri umani, perché i rapporti tra gli uomini si sono deteriorati e corrosi e ci si avvia inevitabilmente verso una loro scomparsa, contrassegnata da dolore e da sofferenza.
L’alternativa alla distruzione è lo stare insieme, il costruire un modello di relazione che si realizza nel mettere in comune i destini, aiutandosi a vicenda e solidarizzando, trovando forme nuove di convivenza, aprendosi alla speranza di un futuro più consono alle aspettative umane. Rivive qui l’utopia di un mondo più vivibile e più solidale costruito a misura d’uomo, dove l’impegno dell’uomo va nella direzione di trasformare l’utopia in qualcosa di reale.
(da R. Pititto, Con l’altro e per l’altro, Edizioni studium, Roma 2015)